In tutte le analisi di queste ore sulla tormentata vigilia del
Concilio ortodosso di Creta, dominano le riflessioni sui rapporti tra
Mosca e Costantinopoli. Ma tra le quattro Chiese che
hanno deciso di non inviare le proprie delegazioni all’appuntamento
convocato dal patriarca Bartolomeo dopo cinquant’anni di discussioni,
c’è anche il patriarcato di Antiochia. Cioè il punto di riferimento più
significativo per gli ortodossi del Medio Oriente, oltre che uno dei
patriarcati che hanno fatto la storia del cristianesimo dei primi
secoli. Come mai?
Appare paradossale che proprio in un momento
storico in cui i cristiani di questa regione vivono le sofferenze della
guerra e della persecuzione, rinuncino a partecipare a un momento di
unità tra le Chiese ortodosse che certamente nel suo messaggio parlerà
diffusamente delle sofferenze dei cristiani del Medio Oriente.
Tra l’altro proprio il patriarca di Antiochia,
Giovanni X, è fratello dell’arcivescovo Boulos Yazigi, uno dei due
presuli di Aleppo che da più di tre anni sono nelle mani delle milizie
islamiste. Ed è molto probabile che da Creta parta un nuovo
appello su questo sequestro dimenticato dal mondo. Eppure comunque la
Chiesa ortodossa che ha sede a Damasco al Concilio convocato dal
patriarca Bartolomeo non ci sarà.
La motivazione ufficiale è il dissidio con il
patriarcato di Gerusalemme intorno alla giurisdizione sui circa 12mila
ortodossi che vivono in Qatar.
Una questione che chiama in causa anche da un punto
di vista personale Teofilo, l’attuale patriarca di Gerusalemme: nella
Pasqua del 1997 - prima di salire sulla cattedra della Città Santa – era
stato questo archimandrita di origine greca il primo religioso
ortodosso a giungere ufficialmente nell’emirato e ad avviare lì una
comunità nel contesto della nuova presenza di lavoratori immigrati
cristiani che caratterizza oggi tutto il Golfo Persico. Non a
caso era stato al patriarcato di Gerusalemme che - poi - l’emiro del
Qatar, Hamar bin Khalifa al Thani, aveva donato il terreno sul quale nel
2009 è stata aperta la chiesa di Sant’Isacco e San Giorgio, tuttora
l’unica chiesa ortodossa di Doha.
Il conflitto con il patriarcato di Antiochia è
scoppiato quando Gerusalemme ha deciso di elevare l’archimandrita
Makarios - il religioso che nel frattempo aveva raccolto il testimone da
Teofilo - alla dignità di arcivescovo del Qatar.
A quel punto Antiochia ha rivendicato per sé la
giurisdizione, vantando il titolo di «patriarcato della comunità
ortodossa nei Paesi arabi».
Un conflitto sfociato nel giugno 2015 nel gesto
clamoroso della rottura della comunione tra i due patriarcati, decretata
da Antiochia: i presuli di una Chiesa non partecipano alle Divine
Liturgie dell’altra finché il dissidio non verrà risolto. Una rottura che Costantinopoli non è riuscita a mediare:
la proposta di affidare la soluzione a una commissione mista da
insediare solo dopo la celebrazione del Concilio panortodosso è stata
ritenuta inaccettabile da Antiochia che per questo motivo ora rifiuta di
mandare la propria delegazione a Creta.
Al di là dell’aspetto locale, la vicenda del Qatar
è lo specchio di due questioni più ampie. C’è innanzitutto la tensione
che riguarda i rapporti tra greci e arabi all’interno delle comunità
ortodosse del Medio Oriente.
Mettere in discussione la giurisdizione sulla nuova
comunità del Golfo, infatti, è un modo indiretto per porre la questione
più generale del patriarcato di Gerusalemme, dove per tradizione la
guida è affidata è un arcivescovo greco anche se la comunità ortodossa
di Israele e Palestina è ovviamente formata da fedeli arabi. Un’anomalia
legata alla complessa storia della custodia dei Luoghi Santi; ma non priva di tensioni:
lo stesso predecessore di Teofilo, il patriarca Ireneo, fu costretto a
dimettersi per via di alcune polemiche molto aspre suscitate dalla
vendita a società immobiliari ebraiche di alcuni terreni di proprietà
della Chiesa ortodossa a Gerusalemme. Antiochia - in sostanza - vuole che il patriarcato della Città Santa resti un’eccezione storica limitata, soprattutto nel contesto dei mutamenti di oggi.
Ed è un discorso che, inevitabilmente, si intreccia al nodo più
generale del rapporto tra i patriarcati e le comunità ortodosse della
diaspora. Per Antiochia è una questione vitale, dal
momento che - a causa dell’emigrazione alimentata dalle guerre e da
tanti altri problemi - già oggi questo patriarcato conta di gran lunga
più fedeli fuori dal Medio Oriente che nei paesi d’origine. Il
patriarcato guidato da Giovanni X, infatti, conta già sue diocesi negli
Stati Uniti, in Sudamerica, in Australia, in Europa per gli ortodossi di
origine araba. E anche per questo - nel pronunciamento con cui il
Sinodo del patriarcato di Antiochia ha annunciato la sua indisponibilità
a partecipare all’appuntamento di Creta - si fa espressamente
riferimento pure allo specifico tema della diaspora, uno di quelli
all’ordine del giorno del Concilio, a giudizio del patriarcato di
Damasco anche questo non adeguatamente preparato.
Vista dal Medio Oriente, dunque, molto più delle
questioni dottrinali è la difficoltà a declinare il rapporto tra una
struttura di Chiese nazionali e un mondo in rapido mutamento a scuotere
oggi l’ortodossia.Una questione su cui la piccola comunità del Qatar, probabilmente, è solo la punta dell’iceberg.