Enzo Bianchi, English-Italiano, Società per l’Informazione Religiosa
Those words and gestures that
the Pope, the patriarchs and the bishops exchanged around a round table
prepared in the central nave of the basilica: a meeting “behind closed
doors”, whose spiritual doors are wide open to embrace suffering and
disseminate hope
Only time will tell us which of the many seeds sown by Pope Francis
and by the Patriarchs, Metropolitans and bishops representing Churches
in the Middle East, gathered in Bari to pray and reflect on peace in
those martyred lands, will deliver flowers and fruits, not only for the
Churches and the Christians present in the region where “are rooted the
very souls” of all Christians, but also for the testimony of the
disciples of Christ in the company of humankind and for the whole world.Perhaps those informal words and gestures will usher in a spirit of ever closer brotherhood, expressed by participants who engaged in dialogue by “mutual encouragement”, also owing to constant interaction that with time grew into true spiritual familiarity. Perhaps it will be ushered in by the joint invocation to “Jesus, Prince of Peace”, before the relics of Saint Nicholas, with the lighting of the oil lamp with a single flame in the crypt venerated by Christians of the East and of the West.
Perhaps the fruits will be delivered through the powerful words addressed on several occasions to all those with government responsibilities and to public-opinion leaders, calling for an end to “the silence and the complicity of many” , for an end to the “murderous indifference”, “to give voice to those who have none, to lift up our voices in opposition of indifference that kills.”
Perhaps fruits will be reaped by the seed carried by the winds of Bari’s seafront, our brother wind that extinguished almost all the lamps of peace held by popes and patriarchs, as if to show them and us that the only flame that we must not let go of is the flame of brotherly Christian love. Or perhaps fruits will reaped thanks to other words, words of consolation and closeness to Christians who continue living in those lands, praying and working, bearing witness also with the ecumenism of blood that makes it worthwhile to live and to die for Christ, proclaiming the good news with their mere existence to a world that wants us to become anesthetized and wants us to accept hatred, wars, inhumanity, as something normal. I want to believe that
The greatest fruits will be reaped through the words and gestures that none of us has heard or seen,neither on Saint Nicholas’ Square nor on the seafront, and nor on the media. Those are the words and the gestures that the Pope, the Patriarchs and the bishops exchanged around the round table prepared in the central nave of the basilica. A meeting behind closed doors, whose spiritual doors are kept open to embrace sorrow and disseminate hope. There, in that circularity, symbol of Trinitarian communion, in that gathering where nobody had the first place, occupied by the One and Only Lord, participants had the opportunity of communicating to each other the burning flames of their hearts, walking together in search of a peace that comes from the Lord, there they shared and listened to the suffering and the hopes of Christians in the respective Churches, there they gave thanks to the Lord for the joint religious witness enjoined on the disciples of the Lord by the tragic events occurring in those lands, there they jointly revived the memory of the times when the term “Christians” reverberated for the first time, indicating “the way of the Lord”, those who followed the footsteps of the Man of Nazareth, who died and was resurrected to be humanity’s Saviour. And who knows whether from the threshold of the church, along with doves of peace, took wing also the passionate yearning for the visible unity of Christians, who knows whether coming together as brothers around the same table is a prophecy that hastens the coming of the day when all will communicate to the same bread and the same cup around the same table, to the body and blood of the One Lord of our churches and our lives.
Papa Francesco a Bari: le parole e i gesti che produrranno più frutto sono quelli che nessuno ha visto e sentito
Quelle parole e
quei gesti che il Papa, i patriarchi e i vescovi si sono sono scambiati
attorno a quella tavola rotonda approntata nella navata centrale della
basilica: un incontro fisicamente “a porte chiuse”, ma spiritualmente a
porte spalancate per accogliere il dolore e per diffondere la speranza
Solo
il tempo potrà dirci quali tra i numerosi semi gettati da Papa
Francesco e dai patriarchi, metropoliti e vescovi delle Chiese presenti
in Medio Oriente riuniti a Bari per pregare e riflettere sulla pace in
quelle terre martoriate produrranno fiori e frutti, non solo per le
Chiese e i cristiani presenti nella regione dove affondano “le radici
delle anime” dei cristiani tutti, ma anche per la testimonianza dei
discepoli di Cristo nella compagnia degli uomini e per il mondo intero.
Forse saranno le parole e i gesti
informali di una fraternità sempre più intensa e manifesta tra alcuni
dei partecipanti che hanno dialogato “incoraggiati gli uni dagli altri”
anche grazie a una frequentazione assidua divenuta con il tempo
autentica familiarità spirituale. Forse sarà l’invocazione comune di
“Gesù, Principe della pace” davanti alle reliquie di san Nicola con
l’accensione di quella lampada uniflamma che arde nella cripta cara ai
cristiani d’Oriente e d’Occidente.
Forse a produrre frutto saranno le parole forti rivolte a più riprese a quanti hanno responsabilità di governo e di formazione dell’opinione pubblica, affinché cessi “il silenzio di tanti e la complicità di molti”, affinché sia sconfitta “l’indifferenza che uccide” e risuoni con forza “la voce dei senza voce, la voce che contrasta l’omicidio dell’indifferenza”.
Forse ancora darà frutto il seme
trasportato dal vento del lungomare di Bari, fratello vento che spegne
quasi tutte le lampade della pace tra le mani di papi e patriarchi, come
a indicare a loro e a noi che l’unica fiamma che non dobbiamo lasciar
spegnere è quella della carità fraterna. O forse saranno altre parole,
quelle di consolazione e di vicinanza rivolte ai cristiani che in quelle
terre continuano a restare, a pregare e a lavorare, testimoniando anche
con l’ecumenismo del sangue che vale la pena vivere e morire per
Cristo, proclamando con la loro stessa esistenza la buona notizia a un
mondo che vuole assuefarci ad accettare come normali le guerre, l’odio,
la disumanità.
Oso pensare che
Oso pensare che
le parole e i gesti che produrranno più frutto potranno essere quelli che nessuno di noi ha visto e sentito,
né sulla piazza di san Nicola né sul
lungomare, né attraverso i media. Quelle parole e quei gesti che il
Papa, i patriarchi e i vescovi si sono sono scambiati attorno a quella
tavola rotonda approntata nella navata centrale della basilica: un
incontro fisicamente “a porte chiuse”, ma spiritualmente a porte
spalancate per accogliere il dolore e per diffondere la speranza. Lì, in
quella circolarità simbolo della comunione trinitaria, lì in quel
consesso in cui nessuno occupava il primo posto e tutti lo hanno
lasciato all’unico Signore, lì i partecipanti hanno potuto dirsi l’uno
all’altro cosa ardeva nel loro cuore camminando insieme in cerca della
pace che viene dal Signore, lì hanno potuto narrare e ascoltare le
sofferenze e le speranze dei cristiani delle rispettive Chiese, lì hanno
potuto rendere grazie al Signore per la comune testimonianza di fede
che le tragiche vicende di quelle terre sollecitano nei discepoli del
Signore, lì hanno potuto rinnovare insieme la memoria dei luoghi e dei
tempi in cui per la prima volta è risuonato il termine di “cristiani”
per indicare “quelli della via”, i seguaci dell’uomo di Nazareth morto e
risorto per la salvezza di tutti.
E dalla soglia di quella chiesa, assieme alle colombe annunciatrici di pace, chissà che non abbia preso il volo anche l’anelito più ardente per l’unità visibile dei cristiani, chissà che l’incontrarsi insieme come fratelli attorno all’unica tavola non sia profezia che affretta il giorno in cui alla stessa tavola si potrà comunicare all’unico pane e all’unico calice, al corpo e al sangue dell’unico Signore delle nostre chiese e delle nostre vite.
E dalla soglia di quella chiesa, assieme alle colombe annunciatrici di pace, chissà che non abbia preso il volo anche l’anelito più ardente per l’unità visibile dei cristiani, chissà che l’incontrarsi insieme come fratelli attorno all’unica tavola non sia profezia che affretta il giorno in cui alla stessa tavola si potrà comunicare all’unico pane e all’unico calice, al corpo e al sangue dell’unico Signore delle nostre chiese e delle nostre vite.