di:
Lorenzo Prezzi
«Siamo
diventati più maturi, abbiamo preservato l’unità della nostra Chiesa e
abbiamo avviato istituzioni solide nel tempo»: l’affermazione è di
Epifanio di Kiev, il nuovo metropolita della Chiesa ortodossa ucraina,
che ha ricevuto il 6 gennaio 2019 il tomo dell’autocefalia, unificando
due precedenti comunità (il cosiddetto “patriarcato” di Kiev e una
Chiesa dissidente presieduta dal vescovo Macario). Nonostante le
tensioni interne al paese la nuova Chiesa è ormai parte del panorama
religioso dell’Ucraina.
Un passaggio non facile per le difficoltà incontrate.
La prima è l’imprevista resistenza della
Chiesa di obbedienza moscovita che non ha conosciuto alcuna deriva
delle proprie comunità verso la nuova Chiesa. Solo due dei 90 vescovi
sono passati alla nuova Chiesa e 600 delle oltre 12.000 parrocchie
l’hanno fatto. Quest’ultime con uno strascico di conflittualità
giuridiche ancora in atto.
La seconda è la ribellione del
metropolita Filarete. Fino alla fondazione della nuova Chiesa, è stato
la bandiera della ribellione a Mosca e il promotore della scissione
delle comunità. Dopo la proclamazione dell’autocefalia si è sentito
tradito non avendo ricevuto alcun incarico di prestigio. Ha annullato il
proprio consenso cercando di rimettere in piedi il “patriarcato di
Kiev”, senza riuscirci. Ma la sua azione di disturbo è tutt’altro che
secondaria, anche se la sua anzianità (91 anni) ne segna l’orizzonte.
La terza difficoltà è stata la sconfitta
politica del mentore dell’operazione, l’ex presidente ucraino
Porochensko. Il 21 aprile egli ha assistito alla vittoria clamorosa del
giovane Zelensky e del suo partito “servitore del popolo”. Di origine
ebraica, il nuovo presidente ha immediatamente abbassato i privilegi e
i favori verso la nuova Chiesa, costringendola a camminare con le sue
gambe.
Chiesa autocefala stabilizzata
Sul versante positivo vanno segnalati
non solo la stabilizzazione della sua presenza istituzionale, ma pure il
vasto consenso mediale, provocato anche dalle conflittualità interne
con il vescovo Filarete.
Molto cordiale il rapporto con i cattolici di rito orientale (4,5 milioni), ai vertici come nelle comunità.
Le inchieste di due istituti di ricerca
riservano alla nuova Chiesa il 48% di circa 25 milioni di ortodossi
locali e, in una ulteriore indagine, il consenso è comunque superiore a
quello riconosciuto alla Chiesa filo-russa di Onufrio. Va però annotata
la difficoltà di indicazioni precise da parte dei ministeri della
giustizia e della cultura interessati alla vicenda ecclesiastica
interna. Il radicamento è in netta prevalenza nelle aree centrali e
occidentali del paese, mentre in quelle orientali e, soprattutto, nel
Dombass, la sua esistenza è di fatto impedita, come anche nella Crimea,
occupata dalle truppe russe.
Un elemento positivo ulteriore è il rinnovamento pastorale: dall’accesso ai nuovi media e social
alla benevolenza verso i fedeli (le donne non sono obbligate al velo in
chiesa, nelle liturgie sono apparse le sedie per facilitare la
partecipazione degli anziani ecc.). L’indirizzo filo-occidentale è
visibile per molti aspetti, fra cui l’apertura verso l’utilizzo del
calendario gregoriano rispetto a quello giuliano, anche se non sarà a
breve termine.
Si prevedevano, soprattutto da parte
della Chiesa filo-russa, scontri diffusi e violenti nelle singole
comunità che non si sono finora prodotti, anche per l’effetto
calmierante della nuova maggioranza di governo.
Se, all’interno del paese, la convivenza
fra le Chiese ortodosse è abbastanza salvaguardata, non così
all’estero. La decisione di Bartolomeo di Costantinopoli di riconoscere
l’autocefalia ha avviato uno scontro fra ellenisti e slavisti che non
accenna a calare. L’iniziativa di riunione dei patriarchi ad Amman da
parte di Teofilo III di Gerusalemme, prevista entro la fine di febbraio e
sponsorizzata da Cirillo di Mosca e da Putin, minaccia di diventare un
ulteriore motivo di frattura fra chi ci andrà e chi no. Per ora i fronti
vedono Grecia, Costantinopoli, Cipro e Antiochia contrari
all’iniziativa, mentre le Chiese serbe, polacche, albanesi e
cecoslovacche, oltre a quella di Mosca, si sono dette a favore.
Il rifiuto di Bartolomeo è costruito su
quattro ragioni: l’uso dell’inglese nella lettera di invito al posto del
tradizionale greco; la pretesa di convocazione dei patriarchi che
spetta solo a Costantinopoli; la domanda di comunione eucaristica che
solo Mosca ha rifiutato; la mancanza di un ordine del giorno da
discutere.
Soloviev e Gerusalemme
La riunione di Amman in capo alla Chiesa di Gerusalemme ripropone l’amara ironia di Valdimir Soloviev nel volume La Russia e la Chiesa universale del 1889 (cf. SettimanaNews).
«Per fare di Gerusalemme il centro gerarchico della Chiesa universale,
bisognerebbe espropriare la confraternita panellenistica e creare ex-nihilo
un nuovo ordine di cose. Ma, anche se una tale creazione fosse
teoricamente possibile, è evidente che essa non potrebbe venire
realizzata dalla Russia se non al prezzo di una definitiva rottura con i
greci. Allora a che si ridurrebbe questa Chiesa universale per la quale
la Russia dovrebbe forgiare pezzo per pezzo un potere centrale e
indipendente? Non vi sarebbe più nemmeno una Chiesa greco-russa; e il
nuovo patriarca di Gerusalemme non sarebbe in fondo che il patriarca di
tutte le Russie. I bulgari e i serbi non appoggerebbero l’indipendenza
ecclesiastica, ed eccoci allora ritornati a una Chiesa nazionale, il cui
capo gerarchico non può essere che un vassallo e un servo dello stato».
E aggiungeva alcune altre righe che
mantengono intatta la loro provocazione: «L’impossibilità manifesta di
trovare o di creare in Oriente un centro di unità per la Chiesa
universale ci obbliga a cercarlo altrove. Innanzitutto dobbiamo
riconoscere quello che siamo in realtà – una parte organica del grande
corpo cristiano – e affermare la nostra solidarietà intima coi fratelli
d’Occidente, che possiedono l’organo centrale che ci manca. Quest’atto
morale, quest’atto di giustizia e di carità rappresenterebbe di per sé
un progresso immenso per noi e, in pari tempo, la condivisione
indispensabile di qualsiasi ulteriore progresso» (L’ecumenismo che verrà. La Russia e la Chiesa universale, Milano 2013, pp. 110-111).
Schmemann: il primato e il luogo
Sulla possibilità che il primato possa
trovare sede altrove rispetto a Costantinopoli così si esprimeva
Alexander Schememann nel 1979: «Tutte le Chiese ortodosse, senza
eccezione, accordano (al patriarca ecumenico) il primato, ma tra le
Chiese greche e le altre esistono differenze sostanziali nella
comprensione di tale primato. Per le Chiese non greche, il ruolo del
patriarca ecumenico è radicato nell’ecclesiologia “essenziale” che, fin
dall’origine ha sempre riconosciuto un centro universale di unità e di
consenso, e dunque una taxsis, cioè un ordine di anzianità e
d’onore fra le Chiese. Questo primato universale è, allo stesso tempo,
“essenziale” nel senso che è sempre esistito nella Chiesa, e “storico”
nel senso che la sua “dimora” o “residenza” può dislocarsi altrove come
in realtà è già avvenuto. Tutto dipende dal contesto storico della
Chiesa in un determinato momento. Il consenso di tutte le Chiese
riunite nei concili ecumenici ha stabilito il primato di Costantinopoli.
Questo riconoscimento lo rende “essenziale”, perché esso esprime il
loro vero accordo, la loro unità; ma è altrettanto vero che questa
risposta ecclesiologica è stata ratificata in un contesto storico
particolare, cioè l’emergere di un impero cristiano universale. In tutte
le Chiese ortodosse contemporanee, nessuno manifesta il desiderio di
cambiare la taxis delle Chiese, ma cambiamenti similari sono
già avvenuti e, teoricamente, potrebbero avvenire in futuro… (Le Chiese
non greche) accettano pienamente il primato del patriarca di
Costantinopoli, ma questa recezione non implica né la dimensione
nazionale, né una taxis eterna e divinamente ispirata. Il
consenso delle Chiese, espresso in un concilio ecumenico, potrebbe, se
necessario, cambiarlo».
Sul tema del primato e sulle voci circa
la volontà di Mosca di penalizzare Costantinopoli ha risposto mons.
Hilarion, presidente del dipartimento degli affari esteri del
patriarcato: «A tale proposito la Chiesa russa è una delle rare Chiese
locali, e forse la sola, che riconosce il primato di Costantinopoli,
non solo a parole, ma in un documento specifico di livello sinodale. Il
primato del patriarca di Costantinopoli non è mai stato contestato dalla
nostra Chiesa. La questione è piuttosto di sapere come tale primato sia
da comprendere».