Il noto teologo e filosofo ucraino tira le somme dell’esistenza del suo paese. Parla di Majdan, di autocefalia, di patriottismo. Della Chiesa in bilico tra fede e politica. Continuiamo la pubblicazione di interviste sul trentennio dell’indipendenza ucraina, ricordando che si tratta di contributi offerti alla libera riflessione dei lettori.
Storicamente come si è formata la nazione ucraina?
Il popolo ucraino non si differenzia molto dagli altri
popoli europei, che si sono costituiti durante la «Primavera dei popoli»
e hanno combattuto per la propria indipendenza dagli imperi. In questo
senso siamo molto vicini al Risorgimento italiano. Nel XIX secolo anche
noi abbiamo avuto i nostri Mazzini, Manzoni e Verdi, che hanno cercato
di formare la moderna coscienza nazionale ucraina. Allora una parte del
popolo italiano e di quello ucraino appartenevano allo stesso impero
austro-ungarico, ed hanno ugualmente combattuto per l’indipendenza.
Un’altra parte del popolo ucraino faceva invece parte dell’impero russo,
che aveva la triste fama di «prigione dei popoli». Combattere questo
impero è stato ben più difficile che combattere quello austriaco. Per
gli ucraini la liberazione è venuta solo con la caduta di entrambi gli
imperi. Fu allora che nacque la prima repubblica ucraina indipendente,
purtroppo di breve durata perché fu subito occupata dalla Russia
sovietica. Il secondo risorgimento ucraino è arrivato con il crollo
dell’Unione Sovietica. In tal modo si può dire che popolo ucraino ha
seguito lo stesso cammino del popolo italiano, sia pure con grande
ritardo.
Quali motivazioni hanno condotto alla dichiarazione d’indipendenza dell’agosto 1991: nazional-religiose o antitotalitarie?
Il secondo risorgimento ucraino del 1991 non è stato molto
diverso dal suo prototipo italiano, poiché univa motivazioni
nazional-religiose e antitotalitarie. Queste ultime, in special modo,
sono ancora quelle predominanti in Ucraina. Mentre alcuni nostri vicini,
pur essendo membri della UE, hanno accettato una parziale restaurazione
dell’autoritarismo, noi ucraini ci opponiamo disperatamente a questa
deriva. È stata esattamente la resistenza all’autoritarismo in favore
dell’ideale repubblicano a fare da motore a entrambe le rivoluzioni
ucraine, del 2004 e del 2013-14.
Il nazionalismo in entrambi i casi ha giocato un ruolo marginale. Alle elezioni parlamentari seguite alle rivoluzioni i partiti nazionalisti non sono passati, o sono passati col minimo dei voti. È stato nel tentativo di estinguere questo focolaio antitotalitario in casa del vicino che Putin ha iniziato la guerra in Ucraina e continua a fomentarla.
Direi quasi che oggi l’Ucraina si oppone alla diffusione dell’autoritarismo in Europa più di molti paesi europei che collaborano attivamente col regime putiniano, a dispetto delle scandalose violazioni dei diritti, delle leggi e delle aggressioni di cui si macchia. Mentre noi paghiamo la nostra resistenza all’autoritarismo col sangue della nostra gente e con i nostri territori.
Quali erano le speranze condivise dalla popolazione rispetto all’indipendenza?
Credo che ciascuno avesse le sue aspettative. Alcune si
sono realizzate, altre no. Ad esempio, non si è avverata una rapida
crescita economica. Inoltre l’Ucraina è strangolata dalla corruzione. La
mia generazione ricorda bene la serie televisiva La piovra sul
commissario Corrado Cattani. Quando la guardavamo non immaginavamo che
anche da noi potesse diventare lo stesso, ma in realtà è diventato anche
peggio. La mafia in Ucraina è una piovra, tale e quale. Fra l’altro, la
mafia è diventata l’arma principale di Putin e del suo autoritarismo.
In Ucraina lo abbiamo sentito sulla nostra pelle, più che in qualsiasi
altro paese europeo colpito dalla corruzione internazionale. Per questo
al momento attuale la lotta alla corruzione per noi ha la massima
priorità. Sappiamo che se non la vinceremo non riusciremo a fermare
l’attacco dell’autoritarismo putiniano.
A parte la corruzione, ci sono delle differenze tra il corso politico della Russia e dell’Ucraina negli ultimi 30 anni?
Se la corruzione è il comun denominatore tra Russia e
Ucraina (da cui noi cerchiamo di liberarci), la cosa principale che ci
differenzia già ora è l’amore alla libertà e l’avversione per il
ducismo.
Forse non pare solo a me che il leader russo imiti gli atteggiamenti e
l’idea di Stato corporativo di Mussolini. È il duce russo. Anche in
Ucraina avevamo dei pretendenti a questo ruolo, ma li abbiamo cacciati.
Ad esempio è stato un Mussolini mancato il presidente fuggiasco Viktor
Janukovič.
Nonostante questo, il Majdan ha lasciato un segno indelebile nella società civile?
Sicuramente. Grazie al Majdan la società civile ucraina ha raggiunto la maturità. La propaganda russa dipinge il Majdan come un branco di nazionalisti che le forze occidentali – in primis il Dipartimento di Stato – spingevano verso il putsch.
In realtà il programma nazionalista, o anche solo nazionale, era
rappresentato solo marginalmente; le principali richieste del Majdan
erano civili: giustizia, dignità, eguaglianza, libertà per tutti.
Questa è stata la libera scelta delle centinaia di migliaia che nelle
notti di gelo stavano fissi sul Majdan. Noi credevamo di difendere gli stessi valori europei.
Dice ancora qualcosa oggi il sogno-mito dell’Europa che
aleggiava sul Majdan, come il concetto di persona e dei suoi diritti, o è
stato solo un elemento propagandistico?
L’idea dei valori europei era centrale sul Majdan.
Oggi ci rendiamo conto che era molto ingenua poiché, come abbiamo visto
dopo l’aggressione russa, i politici europei sono pronti a
mercanteggiare questi stessi valori con l’aggressore, se il prezzo è
buono; hanno sostenuto e sostengono gli interessi della Russia, e quando
vanno in pensione diventano funzionari delle mega-compagnie russe.
Sono certo che in futuro verremo a sapere molte cose inaspettate sul grado di penetrazione della corruzione russa nell’establishment europeo. Questa è stata forse la nostra maggiore delusione riguardo all’Europa. Tuttavia questo non vuol dire che ci abbiano deluso i valori che abbiamo difeso sul Majdan, solo che non li chiamiamo più europei ma piuttosto valori della «rivoluzione della dignità».
Bisogna anche riconoscere che la società ucraina è diventata più incline alle idee radicali, nazionalismo compreso, rispetto al periodo del Majdan. La ragione sta nell’aggressione russa. Durante qualsiasi guerra c’è sempre un’impennata di nazionalismo. Eppure anche così, se confrontiamo la percentuale di partiti nazionalisti che siede al parlamento in Ucraina e nella pacifica Europa, scopriamo che in Ucraina questa presenza è di gran lunga meno evidente.
Come vede i vari tentativi storici dell’ortodossia
ucraina di ottenere l’indipendenza dal Patriarcato di Mosca? Ritiene sia
un desiderio legittimo oppure sia una forma di filetismo che si è
insinuata nella concezione ecclesiologica?
Tutti i popoli ortodossi dell’Europa sud-orientale, usciti
dagli imperi ottomano, asburgico e russo, hanno cercato di ottenere
l’autocefalia come sigillo inalienabile della propria sovranità.
Nell’era moderna l’autocefalia è diventata un attributo
dell’indipendenza nazionale. L’Ucraina lo ha ottenuto più tardi di tutti
gli altri popoli ortodossi. Tuttavia per l’Ucraina l’autocefalia non è
stata solo un attributo politico ma innanzitutto un modo per guarire lo
scisma. Infatti all’indomani dell’indipendenza del 1991 una parte degli
ortodossi ucraini non ha più voluto restare nel Patriarcato di Mosca e
ha deciso di creare un suo patriarcato, quello di Kiev, che però
nessun’altra Chiesa ortodossa ha riconosciuto, per cui di fatto si è
ridotto ad essere un gruppo scismatico. Ne facevano parte milioni di
credenti, che in questo modo erano privi della piena comunione con gli
altri ortodossi; in sostanza erano dei cristiani «di seconda categoria».
È stato proprio il dovere pastorale di curare lo scisma che ha fatto
decidere al Patriarca ecumenico di concedere l’autocefalia alla Chiesa
ucraina. Non c’era altra possibilità per farlo.
Vorrei sottolineare che l’autocefalia ucraina è stata concessa dallo stesso Patriarcato che a suo tempo condannò il filetismo. Pertanto non è corretto parlare di «filetismo» come sottofondo dell’autocefalia ucraina.
Impegnandosi a fondo per ottenere l’autocefalia la Chiesa
non ha mostrato di occuparsi più delle proprie questioni interne che
della crescita civile dei fedeli?
Delle due strutture ecclesiastiche canoniche presenti oggi
in Ucraina, la Chiesa ortodossa ucraina dipendente da Mosca, e la
Chiesa ortodossa di Ucraina, un tempo il ruolo preminente nel processo
di aggiornamento, nel dialogo con la società ce l’aveva la Chiesa di
Mosca. Ora l’iniziativa è passata invece alla Chiesa ucraina autocefala.
Purtroppo la Chiesa del Patriarcato di Mosca si è rinchiusa nel suo
guscio; ignora le trasformazioni democratiche avvenute nella società
ucraina e le considera ostili. Viceversa, la Chiesa autocefala si
dichiara fedele alle trasformazioni e agli ideali del Majdan.
Al suo interno c’è anche una forte simpatia per gli ideali nazionalisti.
Spero che tale simpatia vada scemando e non aumentando, e che non
prevalga sugli ideali della società civile.
La Chiesa istituzionale si preoccupa di aiutare la
maturazione della società, che si trova vulnerabile all’influenza della
cultura occidentale? Ad esempio, non pensa che certi fenomeni diffusi in
Ucraina, come l’utero in affitto, siano sì, segno di povertà ma anche
della perdita della coscienza umana, oltre che cristiana?
Cosa intende per cultura occidentale. Se si tratta della
cultura di Dante e Petrarca, perché mai difendersi? Se per cultura
occidentale s’intende la cultura pop di massa, come ci si può difendere
nell’epoca di internet? Non sono convinto che la società debba maturare
«difendendosi dalla cultura occidentale».
Sicuramente il paese ha seri problemi economici, prodotti dalla corruzione ma anche dalla guerra, che continua ormai da 8 anni. Purtroppo molte donne si vedono costrette ad accettare la maternità surrogata. Lei pensa che queste donne abbiano perso il loro volto umano? Rispondo con le parole di papa Francesco: «Chi sono io per giudicare?».
È in atto un serio rinnovamento dell’ortodossia ucraina?
Penso di sì. Ho già detto dell’aggiornamento che, magari
in modo maldestro ma con una certa coerenza viene portato avanti dalla
Chiesa autocefala. L’altra Chiesa, del Patriarcato di Mosca, purtroppo
ha scelto il percorso inverso. Ma a un certo punto anche questo suo
vettore di sviluppo potrà cambiare.
Quali sono le sfide che potranno incidere sullo sviluppo dell’Ucraina nel decennio a venire?
Lo sviluppo dipenderà da fattori interni ed esterni.
Quelli interni sono: quanto la società ucraina riuscirà a conservare e a
rafforzare il consolidamento che aveva raggiunto, nonché a risolvere
problemi come l’assenza del primato del diritto e la corruzione. Dal
punto di vista esterno, sarà decisivo quanto ancora durerà l’aggressione
del regime putiniano e quale altra forma degenerativa prenderà. Molto
vorrà dire anche la posizione dell’Occidente, se cioè si manterrà fedele
ai propri valori non solo nella retorica ma anche nella politica reale.
La nostra epoca vede profonde trasformazioni, segnate
dalla fine delle ideologie, delle religioni e dei regimi coi loro grandi
sogni. Quali forze possono far rinascere l’umanità, nel suo come nel
nostro paese?
Ahimè, le ideologie non se ne vanno mai, cambiano solo
forma. E per fortuna anche le religioni non se ne vanno, ma cambiano il
rapporto con la società contemporanea. Sono convinto che il
cristianesimo possieda potenzialità inesauribili nel far rinascere paesi
e popoli. Come pure nel rianimare valori che, se pure secolarizzati,
hanno sempre radici cristiane come la solidarietà, la giustizia, la
dignità, la compassione.
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