DI SUA SANTITA’
K.K. BARTOLOMEO
ARCIVESCOVO DI COSTANTINOPOLI – NUOVA ROMA
E PATRIARCA ECUMENICO
DURANTE L’INCONTRO CON Ι SEMINARISTI Ε IL CLERO
DELLA ARCIDIOCESI DI SALERNO
“CRISTO, SOMMO SACERDOTE”
(Salerno, 5 Maggio 2023)
***
Ιερώτατε Μητροπολίτα Ιταλίας , κ. Πολύκαρπε,
Vostra Eccellenza Mons. Andrea Bellandi, Arcivescovo di Salerno, Campagna e Acerno,
Eminenze, Eccellenze, Reverendissimi Padri,
Figli amati nel Signore,
Cristo è risorto! È veramente risorto!
Con questo saluto Pasquale e con particolare gioia ci troviamo oggi tra voi, in un clima di gioia e speranza, illuminato dalla luce della Resurrezione del Signore, su gentile invito del Vostro Arcivescovo, l’amato Fratello Andrea Bellandi, per intrattenerci un poco con voi, il Clero ed i Seminaristi di questa Arcidiocesi, e scambiare assieme alcuni pensieri per la nostra comune crescita e conoscenza reciproca.
È la parola del Salmista che facciamo nostra in questo momento: “Ed ecco che cosa è bello o che cosa dà gioia, se non l’abitare dei fratelli insieme! come unguento profumato sul capo, che scende sulla barba, la barba di Aronne, che scende sull'orlo della sua veste; come rugiada dell'Ermon, che scende sui monti di Sion, perché là il Signore ha disposto la benedizione e la vita in eterno.” (Sal. 132)
Siamo giunti da Costantinopoli, dalla sede della Santa e Grande Chiesa di Cristo, il Patriarcato Ecumenico, che secondo la espressione dei Santi Canoni della Chiesa, presiede nel servizio di unità, la Comunione della Sante Chiese Ortodosse Autocefale, - per festeggiare quest’anno con Voi la memoria della Traslazione delle Sante Reliquie dell’Apostolo ed Evangelista Matteo nella città di Salerno e con l’occasione, la nostra Modestia, unitamente al rispettabile Seguito che ci accompagna, potremo gioire alla vista di quanto la Provvidenza e l’Amore di Dio ha operato e opera in questa terra e tra i suoi ospitali abitanti.
La visita del Patriarca Ecumenico a questa terra, vuole rinsaldare antichissimi legami, che il susseguirsi del tempo e le vicissitudini della storia, se possono alle volte aver allentato, mai hanno reciso, perché non possiamo non pregare in ogni Divina Liturgia per “la pace del mondo intero, per la stabilità delle sante Chiese di Dio e per l’unione di tutti”.
Questo incontro con il Clero ed i Seminaristi pertanto – oltre a gioire per quanto vediamo, vuole portarvi la testimonianza dell’amore che il Patriarcato Ecumenico e tutta la Chiesa Ortodossa hanno per voi, che vi preparate a servire la Chiesa, o che già la servite nel ministero ordinato.
Vogliamo esortarvi pertanto, come un Padre fa con i propri Figli, affinché la vostra vocazione sia piena alla chiamata del Padre Celeste, sia una vocazione vivificata dallo Spirito Santo, che testimonia l’annuncio che il Figlio ci ha lasciato. Una vocazione di amore e di relazione, secondo l’esempio delle Tre Persone Divine nella Santissima Trinità.
Seguite, ascoltate i Vostri Maestri, i Vostri Professori, i Vostri Padri Spirituali, amateli e rispettateli, perché è preziosa la loro opera agli occhi del Signore. Siate sempre in stretta comunione con il Vostro Vescovo, chiamato dallo Spirito Santo alla guida di questa Chiesa, perché Egli è Icona di Cristo.
Siamo stati invitati a presentarvi una breve riflessione su Cristo, Sommo Sacerdote, “ὁ Μέγας Ἀρχιερεύς”, con particolare riferimento all’Oriente Cristiano.
Questo tema lo riscontriamo nella Lettera agli Ebrei, citando ad esempio i Capitoli 5, 1-10: “Ogni sommo sacerdote, preso fra gli uomini, viene costituito per il bene degli uomini nelle cose che riguardano Dio, per offrire doni e sacrifici per i peccati. In tal modo egli è in grado di sentire giusta compassione per quelli che sono nell'ignoranza e nell'errore, essendo anch'egli rivestito di debolezza; proprio a causa di questa anche per sé stesso deve offrire sacrifici per i peccati, come lo fa per il popolo. Nessuno può attribuire a se stesso questo onore, se non chi è chiamato da Dio, come Aronne. Nello stesso modo Cristo non si attribuì la gloria di sommo sacerdote, ma gliela conferì colui che gli disse: “Mio figlio sei tu, oggi ti ho generato”. Come in un altro passo dice: “Tu sei sacerdote per sempre, secondo l’ordine di Melchìsedek” Proprio per questo nei giorni della sua vita terrena egli offrì preghiere e suppliche con forti grida e lacrime a colui che poteva liberarlo da morte e fu esaudito per la sua pietà; pur essendo Figlio, imparò tuttavia l'obbedienza dalle cose che patì e, reso perfetto, divenne causa di salvezza eterna per tutti coloro che gli obbediscono, essendo stato proclamato da Dio sommo sacerdote secondo l’ordine di Melchìsedek”
La lettera agli Ebrei è un trattato di cristologia, composto probabilmente da un giudeo convertito, tra cui spicca il nome di Apollo (cfr At 18,24-28; 19,1; 1Cor 1,12; 3,4-5;6.22; 4,6; 16,12; Tt 3,13), e rivolta certamente a dei giudeo-cristiani, appartenenti forse alla classe sacerdotale o addirittura a quella dei Sommi Sacerdoti, anch’essi passati e convertitisi dalla fede giudaica a quella cristiana. L’autore riporta i propri interlocutori al centro della persona di Gesù, invitandoli a contemplarne il mistero. Si tratta, quindi, di un’esortazione finalizzata a fornire i tratti essenziali del mistero di Cristo, la vera novità del messaggio cristiano, e tuttavia in perfetta sintonia con la rivelazione dell’Antico Testamento. Se lo scritto abbonda di citazioni dell’Antico Testamento, lo scopo di tutto ciò è per evidenziarne la novità, perché in Cristo non solo tutta la Scrittura si compie, ma nella sua persona è possibile una lettura nuova, vera e autentica. Senza il Cristo, l’Antico Testamento rimane, per così dire velato (cfr 2Cor 3,14-15): è in Lui che si scorge la verità piena, perché da lui promana una luce misteriosa, che ne illumina il mistero. Pertanto, nel parlare di Gesù Cristo, la lettera lo fa soprattutto attraverso l’utilizzo della categoria del sacerdozio. Anche questa è una novità assoluta, dal momento che nel Nuovo Testamento Cristo non è mai definito “sacerdote”. Nei Vangeli assistiamo ad uno scontro con la classe sacerdotale, che culmina con il gesto della cacciata dal Tempio (Mc 11,15-17 3 par.); negli Atti degli Apostoli, dove troviamo la sintesi della prima predicazione apostolica, Gesù è presentato secondo i tratti del Servo, del Giusto, del Cristo, dell’Unto, del Consacrato, del Signore (cfr At 1,36-38; 3,13-14; 4,11), ma mai secondo le categorie sacerdotali; nel resto degli scritti neo-testamentari questa categoria è del tutto assente, per trovarla solo qui, nella Lettera agli Ebrei. Il motivo è abbastanza intuibile: dovendo parlare a dei giudeo-cristiani, forse a dei Sacerdoti dell’antico culto, l’autore riprende una delle categorie essenziali dell’Antico Testamento, che è il Sacerdozio levita, per applicarlo a Gesù, dimostrando da una parte la continuità con la storia biblica, e dall’altra la profonda e assoluta novità. Ci troviamo davanti ad una stupenda e profonda catechesi cristologica alla luce dell’istituzione vetero-testamentaria del sacerdozio.
Il ragionamento dell’autore biblico è il seguente: per chi ha abbracciato la fede cristiana non c’è più bisogno di sacerdoti, come accadeva nell’Antico Testamento, perché ora esiste un unico e grande Sommo Sacerdote nella persona di Gesù Cristo. Perciò – conclude l’autore – voi, sacerdoti dell’Antica alleanza, non avete più motivo di esercitare il vostro sacerdozio, perché esso è ormai finito; non ha senso che voi vi atteniate alle pratiche giudaiche sacerdotali e cultuali, perché esse sono state totalmente annullate dal Sommo ed Eterno Sacerdote, che è Cristo Signore; nella sua persona è stato posto un limite chiaro e preciso, dato proprio dalla fine del sacerdozio di Aronne; Cristo Signore ne è diventato il limite di demarcazione. La crisi religiosa ed esistenziale aveva totalmente pervaso la vita di questi primi credenti, ancorati alle usanze giudaiche, in modo tale da annullare del tutto la novità e l’irruenza della grazia, data dalla Pasqua di morte e resurrezione del Cristo. Ma, se il sacerdozio levita è storicamente finito, esso, tuttavia, trova il suo fondamento e la sua piena luce nel mistero della persona di Gesù, che è il vero e Sommo Sacerdote. Quindi, l’autore passa a delineare le caratteristiche essenziali del sacerdozio di Cristo, non prima essersi soffermato a contemplare l’identità del Figlio, che è irradiazione della gloria del Padre e impronta della sua sostanza (Ebr 1,3), Egli che ha parlato una volta per tutte dopo i profeti (cfr Ebr 1,1-2) e il cui nome è eccellente e superiore persino agli angeli (cfr Ebr 1,4-14). E se, infatti, attraverso gli angeli è giunta la parola vetero-testamentaria, ora l’ultima Parola, quella del Cristo, ne è pienamente superiore (cfr Ebr 2,2ss.). L’invito che ne segue è quello di fissare bene lo sguardo su Gesù (κατανοέω, ossia riflettere o pensare in sintonia con), il quale è definito Apostolo e Sommo Sacerdote (Ebr 3,1). Ed è proprio all’interno di questo quadro o orizzonte teologico che egli presenta la catechesi cristologica vera e propria sul sacerdozio di Cristo. I tratti più importanti sono i seguenti: 1. Cristo è il Sommo Sacerdote, che ha attraversato i cieli, non come Aronne, ma alla maniera di Melchisedek (Ebr 5,1ss.). Egli, infatti, non ha ereditato la dignità sacerdotale, come avviene per i figli di Aronne o i Leviti (Ebr 7,11-13), ma gli è stata unicamente conferita dal Padre (Ebr 5,7-10). Su questo punto il testo biblico insiste in modo del tutto particolare, citando più volte la figura di Melchisedek (Ebr 5,6.10; 6,20; 7,1ss.; 7,10.11.15.17.21). Essendo sacerdote alla maniera di Melchisedek, quello di Cristo non è un sacerdozio vecchio, ereditato di generazione in generazione, ma al contrario è un sacerdozio nuovo, conferitogli unicamente dal Padre. Grazie a questo dono del Padre, Gesù è diventato garante di un’alleanza migliore (Ebr 7,22); 2. Cristo è il Sommo Sacerdote santo, senza macchia, separato dai peccatori ed elevato sopra i cieli (Ebr 7,26ss.); 3. Cristo è il Sommo Sacerdote così grande che si è assiso alla destra del trono della maestà nei cieli, ministro del santuario e della vera tenda (Ebr 8,1ss.); 4. Cristo è il Sommo Sacerdote della nuova ed eterna alleanza, che si è offerto una volta per tutte allo scopo di togliere i peccati di molti (Ebr 9,28; cfr Is 53,12d).
Così la Chiesa lo prega nella Divina Liturgia all’Inno dei Cherubini. “Tu sei infatti colui che offre e colui che è offerto, sei colui che riceve i doni e che in dono ti dai”.
Attraverso la sua offerta e sacrifico sacerdotale una volta per tutte, dunque, Gesù Cristo offre all’umanità la remissione ed il perdono dei peccati. A questa realtà aderiscono coloro che vengono battezzati, essi rinascono “dall’acqua e dallo spirito”, si rivestono di Cristo e diventano così membra del suo Corpo, la Chiesa. Conclusione fondamentale della argomentazione biblica di cui sopra è che attraverso il Battesimo tutti i credenti, esortati a fare ciò che Cristo ha fatto, sono integrati nel Corpo di Cristo, la Chiesa, di cui non diventano solo membra di Cristo, ma partecipano anche al suo sacerdozio. “Così, dunque, tutti i Cristiani che partecipano al sacerdozio di Cristo sono obbligati a partecipare al sacrificio di Cristo… I Cristiani sono chiamati a partecipare alla gloria di Cristo glorificando Dio, a partecipare al sacrificio di Cristo, compiendo opere buone” (P. Vassiliadis)
Per comprendere meglio il significato più profondo del sacerdozio di Cristo, dobbiamo per estensione comprendere il significato essenziale del mistero del sacerdozio nella visione della Chiesa.
La Chiesa insegna che Gesù Cristo ha salvato l’uomo e lo ha riconciliato con Dio, attraverso la sua incarnazione, il suo insegnamento e la sua vita. L’apice e il culmine della redenzione è il Suo Sacrifico sulla Croce e la Sua Resurrezione dai morti. Come Sommo Sacerdote ha sacrificato la sua vita a favore della vita e della salvezza del mondo “per il perdono dei peccati e la vita eterna” e ha compiuto il suo sacrifico, uno, unico e irrepetibile una volta per tutte nel tempo. Proprio perché il sacerdozio di Melchisedek è “senza padre, senza madre, senza genealogia” (Ebr. 7,3) esso è soffiato dal Cristo sui dodici apostoli, e la sua origine è chiaramente divina. “Non siete voi che avete scelto me, ma sono io che ho scelto voi e vi ho stabilito” (Gv. 15,16). Scrive Evdokimov che “Ciò che è limitato a Uno solo, il Cristo, viene esteso, reso pieno e compiuto nel suo Corpo: Il Sacerdote si volge verso il Regno e il sacerdozio dei sacerdoti. Ma la Pasqua e la Parusia non coincidono ancora e ne deriva l’esistenza di due sacerdozi; senza confusione né separazione, al di fuori di ogni impossibile contrapposizione, nella differenziazione di carismi, dei ministeri, si realizza l’unico Cristo” (P.Evdokimov. L’Ortodossia). La differenziazione funzionale dei carismi si produce pertanto all’interno di questa equivalenza. Cristo soltanto è sacerdote, tutti sono sacerdoti per partecipazione, alcuni sono vescovi e presbiteri. E infatti il Nuovo Testamento identifica col termine “ἱερεύς” il sacerdozio regale e con quello di presbitero e vescovo il sacerdozio dell’ordine. Ma non esiste nell’Ortodossia un egalitarismo antigerarchico o la frattura clericale del Corpo unico in due parti. Tutti partecipiamo all’unico sacerdozio, ma in due modi. San Giovanni Crisostomo, sviluppando l’insegnamento di San Paolo, afferma che “la moltitudine e la diversa posizione dei membri dell’organismo rinforzano di più l’unità e la pienezza del corpo della Chiesa” (Omelia 30, PG 61, 249/50). San Basilio insegna che “Tutti insieme completano il corpo di Cristo nell’unità dello Spirito, ma l’utilità deve essere scambiata dai carismi. Dio ha messo i membri nel corpo, ognuno di essi come ha voluto. I membri, dunque, devono provvedere all’utilità di tutti…” (Basilio, Sullo Spirito Santo, PG 32, 181).
Il pensiero dei Padri Cappadoci, riprendendo l’assioma biblico, ci ricorda che “Egli ci ha aggregato a sé come popolo scelto, sacerdozio regale, nazione santa” (Anafora di San Basilio) e ancora il Crisostomo: “Così anche tu magari possa diventare re e sacerdote e profeta nel Battesimo; re, certamente, quando ti libererai da tutte le azioni cattive e ucciderai tutti i peccati; sacerdote, offrendo te stesso a Dio e scarificando il corpo ed anche immolando te stesso; profeta, imparando le cose future e da Dio ispirato e suggellato” (Omelia 37, PG 61, 417/8).
La tradizione apostolica e patristica è molto ferma sulla distinzione funzionale tra i due sacerdozi ma anche sulla armonica collaborazione tra i due ordini, quali elementi sostanziali della Chiesa e devono lavorare comunemente e collaborare strettamente per il bene, il progresso e la gloria della Chiesa sotto la guida spirituale del vescovo.
L’amore per l’ordine è naturale e necessario nella Chiesa, per cui il sacerdozio ordinato, vescovi, presbiteri e diaconi sono necessari per mantenere quest’ordine, “ogni cosa sia fatta con dignità e con ordine”, (1 Cor. 14,40) insegna San Paolo. La Chiesa Nascente, fin dall’inizio ha sviluppato una varietà di carismi e di atti liturgici, e inizialmente il compito principale del vescovo era “presiedere” l’assemblea eucaristica. Infatti, uno dei titoli più antichi del vescovo è “Προεστώς”, cioè colui che presiede, e tutta la liturgia, azione, opera di tutto il popolo, è caratterizzata da una azione congiunta in cui clero e popolo agiscono come unità. Tutte le preghiere liturgiche sono al plurale, perché la preghiera è offerta da tutta la comunità. È tipica la preghiera dell’Offertorio nella Liturgia Bizantina: “Mémori, dunque, di questo comandamento salvifico e di tutto ciò che è stato compiuto per noi: della croce, del sepolcro, della resurrezione al terzo giorno, dell'ascensione ai cieli, della seduta alla destra, della seconda e gloriosa nuova venuta, il Tuo dal Tuo, a Te offriamo in tutto e per tutto”. E il popolo risponde: “Te inneggiamo, Te benediciamo, Te ringraziamo, Signore e preghiamo Te, o Dio nostro!”
Dalla analisi della tradizione liturgica della nostra Chiesa, il vescovo che presiede, o il presbitero al suo posto, e che pronuncia le invocazioni, lo fa a nome dell’intera comunità, in quanto ogni volta che celebriamo la Divina Eucarestia ricordiamo le azioni salvifiche di Dio, le rendiamo presenti, reali e vive per noi oggi. Ricordando ciò che Dio ha fatto per noi, gli offriamo ciò che già gli appartiene, perché ricordando e offrendo, diventiamo capaci di lodare, benedire e rendere grazie a Dio.
Oggi, carissimi Fratelli, il carattere sacerdotale dell’intero popolo di Dio, clero e laici, così come è chiaramente espresso nel Nuovo Testamento e nella Tradizione liturgica della Chiesa, ha bisogno di essere nuovamente instillato nella coscienza dei cristiani. Si adempie alle volte a obblighi religiosi per abitudine, ma viene spesso dimenticata la identità sacerdotale e il dovere sacerdotale dei fedeli. Col Battesimo ci siamo rivestiti di Cristo, siamo diventati membra del suo Corpo e siamo chiamati ad esser segno della presenza di Dio nella storia. Ma troppo spesso tali responsabilità vengono lasciate solo al sacerdozio ordinato che, come abbiamo già affermato, è necessario per il buon funzionamento della Chiesa. Tuttavia, il traguardo della Chiesa nel suo insieme, è realizzare lo scopo per cui Cristo è venuto nel mondo, cioè riconciliare l’uomo con Dio, offrire l’amore “kenotico” di Dio “per la salvezza del mondo”, cioè perché il mondo viva. È quella missione che noi Ortodossi caratterizziamo come Liturgia dopo la Liturgia.
Il Signore benedica sempre la Vostra opera tra il popolo di Dio a cui siete stati chiamati. Vi ringraziamo della Vostra attenzione.
Δεν υπάρχουν σχόλια:
Δημοσίευση σχολίου
Σημείωση: Μόνο ένα μέλος αυτού του ιστολογίου μπορεί να αναρτήσει σχόλιο.