SALUTO DI SUA SANTITA’ K.K. BARTOLOMEO ARCIVESCOVO DI COSTANTINOPOLI - NUOVA ROMA E PATRIARCA ECUMENICO DURANTE LA PREGHIERA ECUMENICA NEL DUOMO DI LECCE (Lecce, 1 Dicembre 2016)
Vostra Eccellenza Monsignor Domenico Umberto D’Ambrosio, Arcivescovo Metropolita di Lecce
Vostre Eminenze, Vostre Eccellenze,
Illustri Autorità,
Fratelli e Sorelle, amati Figli nel Signore,
Gloria a Dio per ogni cosa, che oggi
ancora una volta ha mosso i nostri passi dalla citta di Costantino,
sulle rive del Bosforo, e dal Fanar, sede della Santa e Grande Chiesa
martire di Cristo, il Patriarcato Ecumenico, per visitare questo nobile e
amato paese d’Italia ed in modo particolare questa benedetta terra di
Puglia, che si affaccia sul Mar Ionio e guarda verso Oriente i paesi che
si affacciano sull’altra sponda dello stesso mare. E iniziamo questa
graditissima visita a questa terra piena di storia e di gloriose
tradizioni, di incontro e di accoglienza, rendendo grazie al Dio Tre
volte Santo, durante questo momento di preghiera ecumenica in questo
splendido Duomo di Lecce.
Veramente dobbiamo rendere grazie al
Signore, di vivere in questi anni di rispetto, di ascolto, di
condivisione e di fratellanza tra le nostre Chiese Sorelle, incamminate
ormai da lunghi anni in un percorso di dialogo e di collaborazione,
testimoni privilegiate nell’adempiere il comandamento del Signore:
“Affinché tutti siano una sola cosa”.
Siamo giunti tra voi, per il cortese
invito di Vostra Eccellenza e dei Vescovi che fanno parte della Vostra
Metropolia e che abbracciamo e salutiamo con il Bacio di Pace, nonché
della rinomata Università del Salento, che ci onorerà con il Suo
prestigioso riconoscimento, nonché per visitare tra gli altri, anche i
Comuni della Grecia Salentina, eredi di un percorso di immigrazione dei
secoli scorsi, di buona integrazione, ma anche di testimonianza del
perdurare di tradizioni storico-culturali e linguistiche dei paesi di
provenienza.
Salutiamo con calore e affetto il pio
popolo di Lecce, il Vostro clero, i monaci e le monache che con noi
questa sera rendono gloria a Dio per questo momento.
E’ la prima volta che un Patriarca
Ecumenico, nel corso dei Duemila anni di storia Cristiana, visita questa
terra, la quale ancora in tantissimi siti religiosi e archeologici,
testimonia la presenza della Chiesa d’Oriente, del monachesimo bizantino
e la comune venerazione alla pléiade di Santi conosciuti e sconosciuti
che qui hanno vissuto la loro ascesi personale e comunitaria. In modo
particolare la venerazione alla Madre di Dio, la Theotokos, così amata e
venerata dai fedeli leccesi anche in questo Duomo maestoso, è stata ed è
ancor oggi segno visibile che l’unità, se si è interrotta nel corso dei
secoli per tanti motivi, non solo religiosi e teologici ma, e
soprattutto, storici e di politica del tempo, nella preghiera non
conosce divisione. Si, perché la preghiera unisce i cuori, non si
addentra in discussioni teologiche, seppur importanti, non separa né
giudica l’anima che si affida completamente a Dio. E chi si affida a
Dio, e segue l’insegnamento del nostro comune Maestro, il nostro Signore
Gesù Cristo, sa che non può portare l’offerta all’Altare, se non si è
conciliato col proprio fratello. E le nostre Chiese, se ancora non sono
unite nello spezzare il Pane e nel bere al Calice di Salvezza,
certamente stanno camminando sulla via della riconciliazione, sulla via
della μετάνωια, ossia della conversione e del ravvedimento. E questa via
è una via piena d’amore, di rispetto, di umiltà e tante volte anche di
pazienza. Certamente di pazienza, perché in questo modo insieme possiamo
sentire cosa lo Spirito Santo dice alle Chiese, come possiamo
purificare la memoria storica, alle volte conflittuale, e incamminarci
in nuovi percorsi, fino a poco prima insperati. E così continua il
Dialogo Teologico tra le nostre Chiese, e anche nell’ultimo incontro
delle Commissioni Teologiche tenutosi proprio qui in Italia a Chieti,
nel settembre scorso, si è respirato un nuovo momento di grazia, col
ricomprendere insieme il ruolo del Primato e della Sinodalità nella
Chiesa, durante il primo Millennio della nostra storia comune.
La nostra Modestia giunge ancora in
questa terra come Pellegrino, per incontrare i fratelli d’Occidente, per
abbracciare i propri figli che qui vivono e danno testimonianza
dell’amore cristiano, e per respirare insieme l’amicizia e il dialogo
con tutti voi. Pellegrino sulla via dei Santi che hanno benedetto questa
terra del Salento, da cui proviene il vescovo Marco di Calabria, che
partecipo al Primo Concilio Ecumenico nella citta di Nicea nel 325, e
secondo gli storici anche il vescovo Luca di Otranto giunse
successivamente. Non possiamo dimenticare che i vescovi pugliesi
parteciparono al Concilio di Sardica nel 342-343 e che proprio da questa
città, il vescovo Venanzio di Lecce firmò la lettera di papa Virgilio
al Quinto Concilio Ecumenico di Costantinopoli nel 553. Dobbiamo essere
pertanto grati al Signore per questi luminosi esempi di comunione
esistenti in questa terra; ne dobbiamo dare testimonianza viva insieme
ai cristiani di oggi affinché, da questi esempi, maturi sempre più la
consapevolezza dell’amore cristiano per tutti, per ogni cosa, per la
nostra Casa Comune, l’ambiente naturale, datoci da Dio, perché lo
usassimo con parsimonia e non a nostro piacimento. Esempi di Santi
Uomini di Fede, che hanno percorso anche vie strette, alle volte
faticose, ma che hanno trovato nel Cristo Risorto, la giusta ricompensa.
Vie strette che anche i nostri amati padri nella Fede, il Papa di Roma
Paolo VI e il Patriarca Ecumenico Atenagora, di beata memoria hanno
percorso più di Cinquanta anni orsono per ritrovarsi a Gerusalemme, con
l’entusiasmo di pochi prima, ma abbondando di frutti rigogliosi dopo il
loro incontro. E insieme questo momento di grazia, la nostra Modestia lo
ha vissuto con Papa Francesco, l’amato Fratello della Antica Roma,
nell’anniversario di quell’avvenimento nella Basilica dell’Anastasis a
Gerusalemme. E ogni nostro incontro, Eccellenza amata, è uno specchio
dell’incontro dei nostri grandi Padri e Maestri nella Fede, a gloria del
Nome di Dio, “Τις θεός μέγας ως ο Θεός ημών , συ εί ο Θεος ο ποιών
θαυμάσια μόνος.” – “Qual Dio è grande come il nostro Dio; Tu sei il Dio,
il solo che fa meraviglie”, recita il Salmo 76.
Figli benedetti dal Signore,
Come non ricordare in questo momento
solenne di preghiera, anche il protettore di questa città, San Oronzo,
che secondo una antica tradizione, conobbe il Cristianesimo da Tizio
Giusto di Corinto, col quale si recò in quella citta ad incontrare San
Paolo e dal quale fu inviato a Lecce come primo vescovo di questa città e
martire successivamente per Cristo, unitamente a Fortunato. Esempio di
fede fin al più estremo gesto di fedeltà, San Oronzo prega con noi
questa sera per i tanti martiri che in questa nostra epoca nuovamente
soffrono per la propria fede. Non possiamo tacere questo lacerante grido
di dolore dei nostri fratelli Cristiani e di tanti altri uomini e donne
che soffrono in Medio Oriente e in tante altre parti del mondo per la
loro fede. Li affidiamo con cuore trepidante al Dio Buono e
Misericordioso, certi del giusto premio, ma allo stesso tempo non
guardiamo altrove, per non guardare con i nostri occhi, gli occhi di
ogni nostro fratello e sorella che soffrono per la guerra, per il
fanatismo, per la mancanza dei più elementari generei di prima
necessità. Come Cristiani, Cattolici ed Ortodossi, e tutti gli altri
Cristiani e ogni uomo di buona volontà alziamo la nostra voce, affinché
abbia fine tutto questo supplìzio e si percorrano vie di
riconciliazione. Anche per loro preghiamo insieme questa sera.
Amati Fratelli,
dopo aver pregato ci immergiamo nella
Vostra terra per gustare della Vostra conosciuta ospitalità e ve ne
siamo grati. Fin da ora vogliamo ancora avervi con noi, per stare ancora
un poco insieme, secondo le vie del Vangelo, ed invitarvi nella nostra
Sede al Fanar, a Costantinopoli, il Centro dell’ Ortodossia, il
Patriarcato Ecumenico. Così i nostri legami resteranno sempre saldi,
uniti nella preghiera e nell’amore vivificante che ci proviene da Dio,
Padre, Figlio e Spirito Santo, a Lui sia la gloria e l’onore nei
secoli.
OMELIA DI SUA SANTITA’ K.K. BARTOLOMEO ARCIVESCOVO DI COSTANTINOPOLI – NUOVA ROMA E PATRIARCA ECUMENICO DURANTE LA VISITA AL MONASTERO DELLE BENEDETTINE (Lecce, 2 Dicembre 2016)
Eccellenza Reverendissima Arcivescovo Metropolita di Lecce, Monsignor Domenico Umberto d’Ambrosio,
Reverendissima Madre Abadessa Benedetta Grasso,
Eminenze, Eccellenze,
Fratelli e Sorelle in Cristo,
E’ un onore tutto particolare per il Patriarca Ecumenico visitare questo importante e conosciuto Monastero di San Giovanni Evangelista a Lecce, luogo di ardente preghiera, dove è custodito il tesoro dell’antico canto gregoriano, luogo di lode e silenzio, ma anche di azione, lavoro e studio, secondo la tradizione del monachesimo benedettino.
Vi ringraziamo Reverenda Madre per le Vostre parole e per la Vostra Ospitalità, grati al Signore di conoscere da vicino questa realtà così ben articolata e tra le altre cose, così dedita al dialogo ecumenico e anche inter-religioso.
Pochi sanno che anche il Patriarca Ecumenico è l’Igumeno del Monastero di San Giorgio, al Fanar, la nostra Sede a Costantinopoli, e questo fa sì che l’incontro dei monaci, dediti alla ascesi e alla preghiera, sia sempre testimone del grande amore del monaco per il proprio fratello, in cui vede la Icona di Cristo, e l’amore per la ascesi personale di cammino verso Dio, nella solitudine e nella vita comunitaria con i fratelli o le sorelle, ossia nella vita cenobitica.
La etimologia della parola “monaco” deriva dal greco, μοναχός, e significa “solo”, ma essa non vuole esprimere solo lo stato in cui uno si trova, ma soprattutto la volontà di rinunciare alla molteplicità delle cose, per dedicarsi solamente alla fede che lo porta verso la unità divina. I primi tre secoli del Cristianesimo non conoscevano la istituzione del monachesimo, tuttavia è riconosciuta la presenza di asceti e vergini che, alla pratica del celibato univano una vita austera e una assiduità nella preghiera, rispetto al resto dei fedeli.
Dopo l’Editto di Milano nel IV secolo e la libertà della Religione Cristiana, il “battesimo del sangue” dei martiri diviene il “battesimo dell’ascesi” dei monaci. San Atanasio infatti, nella sua Vita di San Antonio, descrive questo padre del monachesimo come il primo che è giunto alla santità senza gustare il martirio.
La relativa decadenza dei costumi, ha portato alcuni, durante il III e IV secolo, a voler trovare un “modus vivendi” più profondo, per fortificare il proprio legame con Dio. Così molti si sono rifugiati in luoghi inospitali, nei deserti, non per voler uscire dalla Chiesa o per una forma di purificazione personale, ma una vera azione di unione con Dio, dentro la Chiesa: San Giovanni Crisostomo dichiarava infatti che “i monaci sono necessari perché il mondo non è cristiano. Lo si converta e il bisogno della separazione monastica sparirà”. Il famoso teologo P. Giorgio Florovskij sottolineava infatti che: “Troppo spesso si dimentica il carattere provvisorio del monachesimo”.
L’arido deserto diviene quindi il luogo dei giganti dello Spirito, tutto illuminato dalla loro luce, con i nomi di Antonio (250-350) e Pacomio (252-346) che insegnavano il vivere assoluto del Vangelo, la rivolta radicale contro il male. Ma il monachesimo se da una parte abbandona il mondo, dall’altra lo benedice con la preghiera dal deserto. Nei Detti dei Padri del Deserto, gli Apophtegmi, Abba Arsenio consiglia: “Prendi la fuga dal mondo, mantieni il silenzio e conservati nella pace dell’anima, queste tre cose ti libereranno dal peccato”. “Tre cose convengono ai monaci, - diceva Abba Andrea -, lasciare la patria, vivere in povertà ed in silenzio, esercitare la pazienza”.
Con Pacomio nel sud dell’Egitto, inizierà anche la prima forma di cenobio, in cui la figura del Protos, diverrà anche modello della paternità o maternità spirituale. Ma come il fondatore del cenobitismo del monachesimo Occidentale sarà San Benedetto, così nella Chiesa Orientale San Basilio costituirà il vero cenobitismo. Con San Basilio il monaco è della Chiesa, vive nella Chiesa e per la Chiesa, sotto la guida del vescovo locale, e il suo compito è anche quello di aiutare i fratelli nel bisogno, oltre alla preghiera, alla lettura delle Sacre Scritture, alla cultura monastica e al lavoro per i bisogni del monastero.
Il monachesimo sarà annoverato tra i sacramenti – misteri - della Chiesa e considerato una delle forme essenziali di perfezione e testimonianza cristiana. Così il monachesimo con i voti di povertà, castità e obbedienza diviene “vita angelica” proiettata nel Regno di Dio.
San Benedetto, con la sua Regola, con il “Ora et Labora”, è considerato il padre del monachesimo occidentale, in sintonia col sentire del monachesimo Orientale di San Basilio, che invece non ha lasciato una sua Regola. Un miriade di Santi monaci in Oriente ed in Occidente hanno scalato e scalano le vette dell’ascesi cristiana, testimoniando la possibile santificazione della umanità che è l’oggetto dell’amore e della azione del Padre celeste. Essere monaci significa scegliere di testimoniare la Morte e la Resurrezione di Cristo.
Eccellenza, Reverenda Madre, amate Sorelle, Figli amati nel Signore,
Vediamo la realizzazione di tutto questo oggi, qui tra di voi, nei vostri volti lieti e pieni di gioia che proviene dallo Spirito Santo. Assaporiamo il desiderio di unità, per la quale in questo Monastero si prega e si lavora, per il Dialogo con tutti. Ma vediamo anche il lavoro che questo Monastero produce, non scordando la preziosa opera del lavoro artigianale con la lavorazione tipica della pasta di mandorle.
Reverendissima Madre Abadessa Benedetta Grasso,
Eminenze, Eccellenze,
Fratelli e Sorelle in Cristo,
E’ un onore tutto particolare per il Patriarca Ecumenico visitare questo importante e conosciuto Monastero di San Giovanni Evangelista a Lecce, luogo di ardente preghiera, dove è custodito il tesoro dell’antico canto gregoriano, luogo di lode e silenzio, ma anche di azione, lavoro e studio, secondo la tradizione del monachesimo benedettino.
Vi ringraziamo Reverenda Madre per le Vostre parole e per la Vostra Ospitalità, grati al Signore di conoscere da vicino questa realtà così ben articolata e tra le altre cose, così dedita al dialogo ecumenico e anche inter-religioso.
Pochi sanno che anche il Patriarca Ecumenico è l’Igumeno del Monastero di San Giorgio, al Fanar, la nostra Sede a Costantinopoli, e questo fa sì che l’incontro dei monaci, dediti alla ascesi e alla preghiera, sia sempre testimone del grande amore del monaco per il proprio fratello, in cui vede la Icona di Cristo, e l’amore per la ascesi personale di cammino verso Dio, nella solitudine e nella vita comunitaria con i fratelli o le sorelle, ossia nella vita cenobitica.
La etimologia della parola “monaco” deriva dal greco, μοναχός, e significa “solo”, ma essa non vuole esprimere solo lo stato in cui uno si trova, ma soprattutto la volontà di rinunciare alla molteplicità delle cose, per dedicarsi solamente alla fede che lo porta verso la unità divina. I primi tre secoli del Cristianesimo non conoscevano la istituzione del monachesimo, tuttavia è riconosciuta la presenza di asceti e vergini che, alla pratica del celibato univano una vita austera e una assiduità nella preghiera, rispetto al resto dei fedeli.
Dopo l’Editto di Milano nel IV secolo e la libertà della Religione Cristiana, il “battesimo del sangue” dei martiri diviene il “battesimo dell’ascesi” dei monaci. San Atanasio infatti, nella sua Vita di San Antonio, descrive questo padre del monachesimo come il primo che è giunto alla santità senza gustare il martirio.
La relativa decadenza dei costumi, ha portato alcuni, durante il III e IV secolo, a voler trovare un “modus vivendi” più profondo, per fortificare il proprio legame con Dio. Così molti si sono rifugiati in luoghi inospitali, nei deserti, non per voler uscire dalla Chiesa o per una forma di purificazione personale, ma una vera azione di unione con Dio, dentro la Chiesa: San Giovanni Crisostomo dichiarava infatti che “i monaci sono necessari perché il mondo non è cristiano. Lo si converta e il bisogno della separazione monastica sparirà”. Il famoso teologo P. Giorgio Florovskij sottolineava infatti che: “Troppo spesso si dimentica il carattere provvisorio del monachesimo”.
L’arido deserto diviene quindi il luogo dei giganti dello Spirito, tutto illuminato dalla loro luce, con i nomi di Antonio (250-350) e Pacomio (252-346) che insegnavano il vivere assoluto del Vangelo, la rivolta radicale contro il male. Ma il monachesimo se da una parte abbandona il mondo, dall’altra lo benedice con la preghiera dal deserto. Nei Detti dei Padri del Deserto, gli Apophtegmi, Abba Arsenio consiglia: “Prendi la fuga dal mondo, mantieni il silenzio e conservati nella pace dell’anima, queste tre cose ti libereranno dal peccato”. “Tre cose convengono ai monaci, - diceva Abba Andrea -, lasciare la patria, vivere in povertà ed in silenzio, esercitare la pazienza”.
Con Pacomio nel sud dell’Egitto, inizierà anche la prima forma di cenobio, in cui la figura del Protos, diverrà anche modello della paternità o maternità spirituale. Ma come il fondatore del cenobitismo del monachesimo Occidentale sarà San Benedetto, così nella Chiesa Orientale San Basilio costituirà il vero cenobitismo. Con San Basilio il monaco è della Chiesa, vive nella Chiesa e per la Chiesa, sotto la guida del vescovo locale, e il suo compito è anche quello di aiutare i fratelli nel bisogno, oltre alla preghiera, alla lettura delle Sacre Scritture, alla cultura monastica e al lavoro per i bisogni del monastero.
Il monachesimo sarà annoverato tra i sacramenti – misteri - della Chiesa e considerato una delle forme essenziali di perfezione e testimonianza cristiana. Così il monachesimo con i voti di povertà, castità e obbedienza diviene “vita angelica” proiettata nel Regno di Dio.
San Benedetto, con la sua Regola, con il “Ora et Labora”, è considerato il padre del monachesimo occidentale, in sintonia col sentire del monachesimo Orientale di San Basilio, che invece non ha lasciato una sua Regola. Un miriade di Santi monaci in Oriente ed in Occidente hanno scalato e scalano le vette dell’ascesi cristiana, testimoniando la possibile santificazione della umanità che è l’oggetto dell’amore e della azione del Padre celeste. Essere monaci significa scegliere di testimoniare la Morte e la Resurrezione di Cristo.
Eccellenza, Reverenda Madre, amate Sorelle, Figli amati nel Signore,
Vediamo la realizzazione di tutto questo oggi, qui tra di voi, nei vostri volti lieti e pieni di gioia che proviene dallo Spirito Santo. Assaporiamo il desiderio di unità, per la quale in questo Monastero si prega e si lavora, per il Dialogo con tutti. Ma vediamo anche il lavoro che questo Monastero produce, non scordando la preziosa opera del lavoro artigianale con la lavorazione tipica della pasta di mandorle.
Ogni monastero è un luogo di preghiera, è
una oasi di accoglienza per coloro che troppe volte, stanchi dalle
fatiche del mondo e del peccato, hanno bisogno della quiete monastica,
della tranquillità dei monaci per incontrare la autenticità dell’amore
Cristiano nella vera libertà. Il monaco infatti con l’obbedienza cura
l’ambizione, con la castità cura la passione della sensualità e con la
povertà la passione della avarizia. Quando questi tre valori non
funzionano, significa che non vi è obbedienza al Padre o alla Madre
Spirituale. La Madre di Dio, quale Guida dei monaci, rappresentata anche
da questa splendida Icona, li guida con la sua vita nella castità e nel
divino amore, nella obbedienza, nella rinuncia, nella estraneità, nella
interiorità, nella vita appartata e nel silenzio.
Così questa sera, con la preghiera di
colei che ci è Madre, e che è Madre di Dio, la Theotokos, camminiamo nel
nostro incontro. Nei monaci non vi è divisione, ma solo condivisione e
amore reciproco. Questo grande amore che Voi testimoniate anche per la
nostra Chiesa questa sera, per il Patriarcato Ecumenico, per il suo
Vescovo e per tutta la Chiesa Ortodossa, è anche l’amore che noi tutti
abbiamo nel nostro cuore per voi. Che Dio, per intercessione della Madre
di Dio e di San Benedetto vi benedica tutti. Grazie della Vostra
Ospitalità.
OMELIA DI SUA SANTITA’ K.K. BARTOLOMEO ARCIVESCOVO DI COSTANTINOPOLI – NUOVA ROMA E PATRIARCA ECUMENICO DURANTE L’INCONTRO CON LA POPOLAZIONE E LE ASSOCIAZIONI CULTURALI DELLA GRECIA SALENTINA A CORIGLIANO D’OTRANTO E PER I 25 ANNI DI SERVIZIO PATRIARCALE (Castello dei Monti – Corigliano d’Otranto, 3 Dicembre 2016)
Eminenza, Eccellenze,
Signor Ivan Stomeo, Presidente dell’Unione dei Comuni della Grecìa Salentina,
Signori Sindaci,
Autorità tutte,
Associazioni della Grecia Salentina
Fratelli e Sorelle in Cristo,
Signor Ivan Stomeo, Presidente dell’Unione dei Comuni della Grecìa Salentina,
Signori Sindaci,
Autorità tutte,
Associazioni della Grecia Salentina
Fratelli e Sorelle in Cristo,
“Calispèra filià pos is stète? Imè cherùmeno na sas torìso.”
“Ivò sas cheretò olu me ta fiddha tis kardia”
(Buonasera amici, come state? Sono contento di vedervi. Io vi saluto tutti dal profondo del mio cuore.)
Ancora una volta abbiamo l’occasione di
meravigliarci e di ammirare la bellezza di questa terra della Grecia
Salentina e intrattenerci con i suoi abitanti, che così tanto amiamo e
sentiamo profondamente uniti nel nostro cuore. Vi ringraziamo per le
tante attestazioni di stima e affetto che dimostrate alla nostra Santa e
Grande Chiesa martire di Cristo, il Patriarcato Ecumenico e alla nostra
Modestia.
E’ confortante incontrare così tante
associazioni impegnate nel recupero, nella riscoperta e nella promozione
delle tradizioni di questa terra greco-salentina. Le tradizioni, siano
esse religiose, musicali, gastronomiche, storico-culturali, poetiche non
rappresentano qualche cosa che proviene dal passato, sepolto sotto la
polvere ed il peso della storia. La Tradizione è qualche cosa di vivo,
che unisce in uno unico filo, il passato con il presente e lo proietta
verso il futuro, affinché anche le nuove generazioni possano
sperimentare la saggezza dei propri avi e, mediandola nel proprio tempo,
divenire testimoni di tale saggezza anche per i figli di domani. In
questo contesto la Tradizione vivente della Grecia Salentina è un
prezioso tesoro, che non può essere nascosto in uno scrigno. Ha bisogno
di essere conosciuto, presentato, ma soprattutto amato dalla propria
gente.
Il momento storico che viviamo, scosso
da troppi rumori di guerre, attraversato da uno sfrenato consumismo,
dove la solidarietà non è più un valore aggiunto del vivere dell’uomo,
un frangente storico che non lascia più spazio ai genuini rapporti
familiari e umani, un ambiente naturale sacrificato ai bisogni sfrenati
e egoistici dell’economia di mercato, ha bisogno di riscoprire
attraverso le tradizioni locali, il giusto modo di rapportarsi alle
cose nella vita. Dobbiamo essere grati pertanto agli studiosi che
ricercano sulla storia e sulla cultura di questa terra. Dobbiamo essere
grati agli Amministratori che pongono il loro tempo e le proprie
competenze al servizio delle comunità, anche con lo stimolare il
rinascere di antichi e ancestrali momenti di vita comunitaria, dobbiamo
essere vicini e partecipare alla vita di associazioni che cercano di
tenere viva la memoria di questi luoghi. Abbiamo questa sera degli
splendidi esempi di canzoni e danze popolari, di poesia, di storia.
Crescano quindi gli itinerari turistici, religiosi, di storia, di
gastronomia, di feste e di eventi che creano “comunione”. Certamente
tutto questo porterà crescita umana, ma certamente porterà anche
crescita materiale per la popolazione della Grecia Salentina.
Vi ringraziamo inoltre per i sentimenti
di attenzione che avete rivolto alla nostra Modestia, omaggiandoci con
questo meraviglioso momento di festa, anche per ricordare i 25 anni di
servizio patriarcale sulla Sede di Sant’Andrea, dove la Provvidenza di
Dio ci ha posto. Sono anni che hanno visto grandi mutamenti della scena
mondiale, anni in cui a grandi speranze sono seguiti anche momenti di
timore per le sorti del mondo. Ma abbiamo la certezza che “la speranza
non delude”, perché Dio non delude mai i propri figli e accompagna la
nave della Chiesa in ogni tempo. Abbiamo avuto l’onore di incontrare
molte volte e di cooperare assieme a tre Papi, Papa Giovanni Paolo II,
Papa Benedetto XVI e ora Papa Francesco. Il grado di comunione tra le
nostre Chiese è cresciuto e, anche se abbiamo avuto momenti di
sconforto, non abbiamo mai avuto dubbi sulla via che il Signore ci ha
preparato. L’incontro a Gerusalemme con Papa Francesco per ricordare i
50 anni del primo incontro tra Papa Paolo VI ed il Patriarca Atenagora,
ha indicato che la via per l’unità di tutti i Cristiani è una via senza
ritorno. E’ la nostra responsabilità di Pastori davanti a Dio e davanti
alla Chiesa.
In questi anni abbiamo cercato anche di
dare voce alla Creazione di Dio, sostenendo che la deturpazione
dell’ambiente naturale è un peccato contro Dio; che la salvaguardia del
Creato è un dovere spirituale di ogni credente, in quanto Dio ci ha
consegnato la Casa Comune affinché la usassimo con parsimonia e
attenzione. La Casa è di Dio non è nostra e non possiamo usufruirne solo
a nostro piacimento, depauperando le risorse a favore di pochi e a
scapito di molti. Papa Francesco, con la Enciclica Laudato SI ha seguito
le nostre orme per la salvezza dell’ambiente naturale e per tutto ciò
che esso contiene e oggi le Chiese Ortodosse e la Chiesa Cattolica,
unitamente anche ad altre Chiese e Comunità Cristiane, hanno dedicato il
Primo Settembre di ogni anno, a giorno di preghiera per la salvaguardia
dell’ambiente naturale.
Con Papa Francesco e con l’Arcivescovo
di Atene Ieronimos ci siamo ritrovati insieme anche sull’Isola di Lesbo
in Grecia, per gridare all’Europa e al mondo che il dramma delle guerre,
delle migrazioni e dei profughi non è più tollerabile. Insieme a tanti
capi religiosi abbiamo inviato un messaggio di pace da Assisi, nel
settembre scorso, perché il mondo ha “Sete di Pace”, affermando che
nessuno può pensare di uccidere in nome di Dio, e condannando il
fanatismo religioso.
Ma il Signore ci ha anche donato la
grazia di vedere realizzato il Santo e Grande Concilio della Chiesa
Ortodossa, tenutosi nel mese di Giugno a Creta, dopo oltre Cinquanta
anni di studio, preparazione, discussioni teologiche a cui hanno
partecipato tutte le Chiese Ortodosse. Nonostante alcuni problemi,
questa grande assise conciliare ha avuto luogo e sono stati emanati
importantissimi documenti per la vita della Chiesa e per la sua missione
nel mondo. Vi è stata la manifestazione della sinodalità della Chiesa,
il camminare insieme. Non tante Chiese, unite dalla fede, ma una unica
Chiesa che cammina assieme per le vie del mondo. Siamo grati a Dio per
quanto ci ha dato e per quanto ci ha concesso di operare con tutti i
nostri fratelli.
Amati Figli,
Questo giorno ci rimarrà nel cuore. Per
quanto abbiamo ricevuto, per quanto abbiamo ammirato, ma soprattutto per
il calore della Vostra Ospitalità. Continuiamo il pellegrinaggio nella
Vostra terra che ci porterà fino alla Tomba del nostro Santo comune,
così amato in Oriente ed in Occidente, San Nicola, Vescovo di Mira di
Lica e che riposa a Bari.
Per le preghiere di San Nicola, per le
suppliche della Santissima Madre di Dio, la Theotokos, le cui icone
bizantine abbiamo visto in tanti vostri luoghi, Vi benedica Dio in
questo luogo così tanto amato, vi fortifichi e vi doni pace e amore.
Grazie.
LECTIO MAGISTRALIS DI SUA SANTITA’ K.K. BARTOLOMEO ARCIVESCOVO DI COSTANTINOPOLI – NUOVA ROMA E PATRIARACA ECUMENICO IN OCCASIONE DELLA CONSEGNA DELLA LAUREA HONORIS CAUSA IN ARCHEOLOGIA DELLA UNIVERSITA’ DEL SALENTO (Lecce, Università del Salento – Aula Magna, 2 Dicembre 2016)
“Rispondere alle sfide di oggi”
***
Eccellenza Reverendissima Arcivescovo Metropolita di Lecce, Monsignor Domenico Umberto d’Ambrosio
Illustrissimo Magnifico Rettore, Prof. Vincenzo Zara,
Chiarissimo Prof. Francesco d’Andria,
Autorità Accademiche,
Eminenze, Eccellenze, Autorità tutte, graditissimi Ospiti,
Carissimi studenti,
Fratelli e Sorelle in Cristo,
Illustrissimo Magnifico Rettore, Prof. Vincenzo Zara,
Chiarissimo Prof. Francesco d’Andria,
Autorità Accademiche,
Eminenze, Eccellenze, Autorità tutte, graditissimi Ospiti,
Carissimi studenti,
Fratelli e Sorelle in Cristo,
Desideriamo esprimere il più profondo
ringraziamento al Magnifico Rettore, prof. Vincenzo Zara, al prof.
Francesco d’Andria, grande conoscitore e amico della Turchia e dei suoi
siti archeologici, per le sue cordiali parole e a tutto il Senato
Accademico per l’attenzione dimostrata alla Santa e Grande Madre Chiesa
Martire di Costantinopoli, il Patriarcato Ecumenico, che secondo la
tradizione e la prassi della Chiesa e le delibere sinodali dei Primi
Concili Ecumenici, presiede nella carità la Sinfonia delle Sante Chiese
Ortodosse locali attraverso il mondo, e alla nostra Modestia in
particolare, con l’attribuzione di questa importante Laurea Honoris
Causa in Archeologia, da parte del Dipartimento dei Beni Culturali di
questa rispettata Istituzione. E poiché è prassi rivolgere alcuni
pensieri a codesti stimati e distinti Professori ed Ospiti, ci pregiamo
di offrirVi il seguente contributo avendo come tema “Rispondere alle
sfide di oggi”.
Non vi e persona che non sia a conoscenza, o sia indifferente o non toccata dalle situazioni di serie crisi economiche, sociali e politiche, che negli ultimi anni hanno investito il nostro mondo. Vi è una crisi universale che è intimamente connessa al processo di globalizzazione e delle sue conseguenze, che include l’arrendersi della cultura alla economia, il cosiddetto “fondamentalismo del mercato”, e l’aumento della povertà, la tragedia della persecuzione della migrazione, la esplosione del conservatorismo religioso e del terrorismo internazionale, come anche la crescente sfida ecologica e gli effetti del cambiamento climatico.
Non vi e persona che non sia a conoscenza, o sia indifferente o non toccata dalle situazioni di serie crisi economiche, sociali e politiche, che negli ultimi anni hanno investito il nostro mondo. Vi è una crisi universale che è intimamente connessa al processo di globalizzazione e delle sue conseguenze, che include l’arrendersi della cultura alla economia, il cosiddetto “fondamentalismo del mercato”, e l’aumento della povertà, la tragedia della persecuzione della migrazione, la esplosione del conservatorismo religioso e del terrorismo internazionale, come anche la crescente sfida ecologica e gli effetti del cambiamento climatico.
Di fronte a questa crisi multiforme, il
Patriarcato Ecumenico ha dichiarato l’anno 2013, quale “Anno della
solidarietà universale”. La nostra Enciclica Patriarcale per l’occasione
ha articolato la convinzione che la attuale crisi mondiale economica e
sociale esprima in ultima analisi una mancanza di solidarietà.
Solidarietà con gli altri esseri umani è un presupposto basilare non
solo per la coesistenza pacifica tra i popoli, ma anche per la stessa
sopravvivenza dell’umanità. Siamo convinti che nessuno, né una nazione
né uno stato, né una religione o una visione del mondo, né la scienza o
la tecnologia e neppure un individuo o una istituzione – possono far
fronte da soli ai problemi attuali. Abbiamo bisogno l’uno dell’altro:
c’è bisogna di una comune consapevolezza, di una comune aspirazione, di
una mobilitazione comune. Il Dialogo e la cooperazione promuovono la
comprensione reciproca e la tolleranza, la accettazione e la fiducia
reciproca. Essi sono sia un gesto di solidarietà sia una fonte di
solidarietà.
Inoltre è nostra sincera convinzione
che, nello sforzo di creare una cultura di solidarietà, il contributo
della religione rimane cruciale e critica. Nei decenni recenti siamo
passati attraverso una rivalutazione del ruolo della religione per
l’umanità e la sfera pubblica, così come per il suo contributo alla pace
e alla riconciliazione.. Ancora, la religione continua a preservare gli
alti valori morali, l’eritaggio spirituale e culturale, assieme con la
conoscenza e la sapienza.
Non è per caso che al giorno d’oggi
parlare di una “epoca post-religiosa” è sostituito da un discorso su un
“periodo post-secolare”, dove le religioni reclamano – e giocano – un
ruolo pubblico definito nel mondo. Per Sua Eminenza il Cardinal Walter
Kasper, è una verità comunemente accettata che “ogni società ha bisogno
di istituzioni di trascendenza” che rappresentano pubblicamente la
“dimensione del divino”. Il moderno sforzo di fondare una società su
principi ateistici o indifferenti alla religione, è fallito.1
Purtroppo, la attuale esplosione del
fondamentalismo religioso ed i terribili atti di violenza apparentemente
in nome di Dio e della religione forniscono ai moderni negatori della
fede religiosa argomenti più convincenti contro la religione,
sostenendo la identificazione della religione con la turpitudine e
l’oscurantismo.
Abbiamo bisogno di una religione che non
tradisce la terra per amore del cielo, il presente per amore del
futuro. Una religione genuina non esime gli esseri umani dalla loro
responsabilità nel mondo e per il mondo. Al contrario, aumenta il loro
impegno alla responsabilità e all’azione mentre estendono la loro
testimonianza per la libertà, la giustizia e la pace.
Il nostro amato fratello a Roma, Papa
Francesco, nella sua Enciclica “Laudato si” , allo stesso tempo ci
ricorda : “La sfida urgente di proteggere la nostra casa comune
comprende la preoccupazione di unire tutta la famiglia umana nella
ricerca di uno sviluppo sostenibile e integrale, poiché sappiamo che le
cose possono cambiare. Il Creatore non ci abbandona, non fa mai marcia
indietro nel suo progetto di amore, non si pente di averci creato.
L’umanità ha ancora la capacità di collaborare per costruire la nostra
casa comune.”
La Chiesa Ortodossa è alle volte
accusata di trascurare il mondo per amore della spiritualità, di essere
centrata sul culto e la liturgia, mentre sarebbe indifferente ai
problemi sociali, di guardare al Regno di Dio che viene nel futuro, ma
di ignorare le sfide pressanti del presente.
Il Santo e Grande Concilio della Chiesa
Ortodossa, tenutosi nel Giugno 2016 a Creta, ha dimostrato che è proprio
vero il contrario . Esso ha affrontato le principali sfide
contemporanee, menzionando la secolarizzazione, lo scientismo,
l’individualismo, la crisi ecologica, la globalizzazione, la violazione
dei diritti umani, la fame, la violenza, la ingiustizia, i conflitti
militari, i fondamentalismi religiosi, la crisi dei rifugiati e dei
migranti e altre.
L’atteggiamento della Chiesa Ortodossa
verso il mondo moderno non è né negativo, né sulla difensiva. Non
rifiutiamo la modernità come una minaccia per la nostra identità o il
progresso. Non identifichiamo la cultura moderna con le sue debolezze e
carenze; noi distinguiamo l’autonomia dall’autonomismo, la protezione
dei diritti individuali dall’individualismo. Allo stesso tempo chiediamo
ai rappresentanti della modernità di evitare di identificare
l’Ortodossia con l’anti-modernismo, con il conservatorismo, il
tradizionalismo o anche l’etnocentrismo, con il rifiuto della libertà
individuale e la incapacità di accettare la secolarizzazione e di
aiutare lo stato laico. Tuttavia, per i Credenti Ortodossi, la fede
rimane la condizione principale per un corretto approccio alla realtà
terrena. La Chiesa riempie la storia di significato, trasformando il
mondo intero e indirizzandolo verso la sua finale destinazione
escatologica.
Questo spirito è espresso correttamente
nei documenti del Santo e Grande Concilio della Chiesa Ortodossa. Vi
presentiamo dunque, con brevi commenti, tre passaggi rappresentativi
dell’Enciclica di questo Concilio, relativi alle principali sfide per la
umanità di oggi: a) globalizzazione, b) violazione dei diritti umani e,
c) fondamentalismo religioso:
a) Iniziamo col testo sulla globalizzazione:
“L'ideologia contemporanea della
globalizzazione, che viene imposta impercettibilmente e rapidamente si
espande, sta già provocando forti instabilità per l'economia e per la
società su scala mondiale. La sua imposizione ha creato nuove forme di
sfruttamento sistematico e di ingiustizia sociale, ha previsto la
progressiva neutralizzazione degli ostacoli delle tradizioni nazionali,
religiose, ideologiche che vi si oppongono e altri e ha già portato ad
un indebolimento o a una completa inversione delle acquisizioni sociali,
con il pretesto ovviamente del presunto necessario riaggiustamento
dell'economia globale, ampliando così il divario tra ricchi e poveri,
minando la coesione sociale dei popoli e alimentando nuovi incendi di
tensioni globali… La Chiesa si oppone alla provocatoria minaccia per
l'uomo contemporaneo e per le tradizioni culturali dei popoli che
comporta la globalizzazione e anche il principio della "legge propria
dell'economia" o dell’ "economicismo", cioè l'autonomizzazione
dell'economia dai bisogni essenziali dell' uomo e la sua trasformazione
in un fine a sé, propone pertanto un'economia sostenibile fondata sui
principi del Vangelo. Così, avendo come bussola le parole del Signore,
"non di solo pane vivrà l’uomo" (Lc 4,4), la Chiesa non collega il
progresso dell'umanità soltanto con un aumento del tenore di vita o con
lo sviluppo economico a scapito dei valori spirituali.” (cap. 15)
Figli amati nel Signore,
La Chiesa Ortodossa sostiene un'economia
che serve l'umanità e le sue esigenze esistenziali. Siamo convinti che
una società globale, orientata esclusivamente sull’economicismo e sul
consumismo, non può sopravvivere. È' in questo contesto che la Chiesa
Ortodossa pratica anche la solidarietà con la creazione. Come una
"chiesa verde", il Patriarcato Ecumenica è un protagonista della
consapevolezza ecologica!
b) Un secondo testo della Enciclica riguarda la questione dei diritti umani: Ecco un capitolo dell' Enciclica di Creta :
“I diritti umani si trovano oggi al
centro del dibattito politico in risposta alle crisi e sconvolgimenti
sociali e politici contemporanei e al fine di proteggere la libertà
dell'individuo. L'approccio ai diritti umani da parte della Chiesa
Ortodossa si concentra sul pericolo di perdita dei diritti individuali,
sull’individualismo e su una cultura dei "diritti". Una perversione di
questo tipo funziona a scapito del contenuto sociale della libertà e
conduce alla trasformazione arbitraria dei diritti in rivendicazioni
edonistiche, e alla riduzione dell'identificazione precaria della
libertà con la licenza dell’individuo ad un "valore universale" che mina
le fondamenta dei valori sociali, della famiglia, della religione,
della nazione e minaccia i valori etici fondamentali”. (cap. 16)
A nostro avviso, la tutela dei diritti
umani è profondamente e intimamente connessa all'approccio delle
religioni. Infatti, nella nostra epoca, la critica più dura contro i
diritti individuali ha origine in religioni non Cristiane. Noi crediamo
che un contributo cruciale della Chiesa Ortodossa sulla questione dei
diritti umani è proprio il sostegno del loro contenuto sociale e la
critica della loro riduzione individualistica. In effetti, l'essenza
sociale della libertà è fedelmente conservato nel Cristianesimo
Orientale. Infatti noi sottolineiamo le radici cristiane dei moderni
diritti umani, ma non consideriamo l'etica dei diritti umani come
l'ethos finale o supremo. I diritti umani non possono mai raggiungere la
profondità dell'amore cristiano. Come scrive al proposito l’Arcivescovo
di Albania Anastastios:
"Il pensiero Cristiano e l'esperienza
Cristiana della vita insistono sul diritto umano di sacrificare
realmente anche i propri" diritti "per l’amore del bene. Questo non è
imposto a nessuno, ma è scelto liberamente. L'amore è una scelta attiva
che si irradia al di là dello stretto quadro delle costruzioni
giuridiche; a differenza della Legge Mosaica o qualunque altra forma di
legge umana, l'amore concede la libertà. “L'amore è il compimento della
legge” (Rm. 13,10)."2
Purtroppo, alcuni studiosi ortodossi
considerano ogni discorso sui diritti umani come "importati" o
"stranieri" per la tradizione Ortodossa. Tuttavia, siamo convinti che le
tensioni esistenti tra Ortodossia ed i moderni diritti umani non sono
radicate principalmente in valori di principio, ma piuttosto in contesti
storici. In questo senso, sia la comunità ecclesiale , sia il movimento
dei diritti umani lottano per la tutela della dignità umana.
c) Il nostro testo finale, preso dalla
Enciclica del Santo e Grande Concilio si riferisce al grandissimo
problema causato dal fondamentalismo religioso:
“Stiamo vivendo oggi un aumento della
violenza in nome di Dio. Le esplosioni del fondamentalismo in seno alle
religioni, rischiano di condurre al prevalere della visione che il
fondamentalismo appartiene all'essenza del fenomeno della religione. La
verità, tuttavia, è che il fondamentalismo, come "zelo ma non secondo
una retta conoscenza” (Rom. 10,2), costituisce una espressione di
religiosità morbosa. Il vero cristiano, sull'esempio del Signore
crocifisso, si sacrifica e non sacrifica, e per questo motivo è il
giudice più severo del fondamentalismo di qualsiasi provenienza. Il
dialogo interreligioso serio contribuisce allo sviluppo della fiducia
reciproca, alla promozione della pace e della riconciliazione. La Chiesa
si sforza di rendere più tangibilmente "la pace dall'alto" τήν
ἄνωθεν εἰρήνην, sulla terra. La vera pace non si ottiene con la forza
delle armi, ma solo attraverso l'amore che "non cerca il proprio
interesse" (1 Cor. 13,5). L’olio della fede deve essere utilizzato per
lenire e guarire le antiche ferite degli altri e non per riaccendere
nuovi focolai di odio.” (cap. 17)
E’ un dato di fatto pertanto, che la
religione può umanizzare un popolo sostenendo lo sforzo per la libertà,
la pace e la giustizia. Tuttavia, può anche disumanizzare un popolo
coltivando fanatismo e favorendo il fondamentalismo. Così il dilemma
essenziale dell'umanità non è se adottare o meno una religione, ma
piuttosto che tipo di religione dovrebbe abbracciare. Abbiamo bisogno di
una religione che possa contribuire alla tutela della libertà umana, al
dialogo con la cultura e ai principi di coesistenza, di solidarietà e
di riconciliazione. Abbiamo bisogno di una religione che possa guidare
un popolo alla profondità della verità, ad un cambiamento di mentalità, e
ad una autenticità di vita. Come ci è stato insegnato: “Conoscerete la
verità e la verità vi farà liberi”(Gv. 8,32). " Γνώσεσθε τήν ἀλήθειαν
καί ἡ ἀλήθεια ἐλευθερώσει ὑμᾶς".
Ancora Papa Francesco sottolinea anche
nella sua Enciclica citata: “Il bene comune presuppone il rispetto della
persona umana in quanto tale, con diritti fondamentali e inalienabili
ordinati al suo sviluppo integrale. Esige anche i dispositivi di
benessere e sicurezza sociale e lo sviluppo dei diversi gruppi
intermedi, applicando il principio di sussidiarietà. Tra questi risalta
specialmente la famiglia, come cellula primaria della società. Infine,
il bene comune richiede la pace sociale, vale a dire la stabilità e la
sicurezza di un determinato ordine, che non si realizza senza
un’attenzione particolare alla giustizia distributiva, la cui violazione
genera sempre violenza.” (Laudato Si, cap. 156).
Amati Fratelli e Sorelle in Cristo,
Un essere umano non è solo un cittadino
del mondo, ma anche un cittadino del cielo, pieno di nostalgia per la
vita eterna. La tradizione Ortodossa definisce l'uomo come "essere
vivente chiamato alla divinizzazione" (ζῶον θεούμενον)3,
attribuendo la massima dignità e la libertà divina nella comunità della
Chiesa, la quale, a sua volta, è chiamata ad "una comunione di
divinizzazione" (Κοινωνία θεώσεως)4. Ed in questa comunione,
la mente e il cuore, la fede e la conoscenza, la libertà e l'amore,
l’individuo e la società, l'umanità e tutta la creazione sono
riconciliati. Il nostro Dio è "con noi", "Emmanuel" (Mt. 1,23).
Questo è il motivo per cui il concetto
Ortodosso di uomo e di donna, allo stesso tempo resiste alla moderna
glorificazione dell’individualismo e all'oppressione dell'umanità da
parte di società totalitarie, come pure e all'indebolimento della
libertà umana in strutture finanziarie e tecnologiche globalizzate.
L’Ortodossia è chiamata a servire come
una sfida profetica, per fornire un modello alternativo di vita, per
proporre una libertà "condivisa" o "comune" all'interno di un mondo
globalizzato, che dota senza dubbio l'umanità di doni preziosi, ma allo
stesso tempo spinge le persone alla autosufficienza e all'egocentrismo,
ignorando gli altri che condividono le stesse risorse e lo stesso mondo.
Qualunque cosa la Chiesa faccia,
qualunque cosa la Chiesa dica, lo fa per la gloria di Dio in quanto
divinità e per la tutela della dignità umana. Essa può anche scegliere
di mantenere il silenzio per le stesse ragioni. Tuttavia, è impossibile
per la Chiesa chiudere gli occhi di fronte al male, essere indifferente
al grido dei poveri e degli oppressi, mantenere la calma di fronte alla
distruzione ambientale. La fede della Chiesa afferma e fa avanzare la
lotta contro tutte le forze della disumanità.
Noi consideriamo l'attuale crisi
multiforme come un'opportunità per la costruzione di ponti e per
praticare la solidarietà. Il nostro è un tempo di dialogo e di azione
comune, di apertura e di fiducia, di coraggio nell’assumersi
responsabilità e nell’impegnarsi in una attendibilità trasparente. Il
nostro futuro è comune; e la via per questo futuro è un viaggio comune
per noi tutti. Eppure, la nostra forza rimane sempre spirituale. È la
potenza della sacra tradizione Ortodossa, una fonte inesauribile di
verità cruciali per gli esseri umani e il mondo, per la nostra relazione
con Dio, con noi stessi, con gli altri e con la creazione, per la pace
e la riconciliazione, per il senso della vita e il destino finale di
tutti. Noi viviamo nella certezza che il futuro non appartiene
all’"avere" e alla "pleonexia", la cupidigia, ma all’"essere" e al
"condividere", non all'individualismo e all'egoismo, ma alla comunione e
all’amore. "Dio è amore" e chi fa esperienza ed esprime questo amore è
in Dio e Dio è in lui. (1 Gv. 4,16)
Grazie per la Vostra presenza e la Vostra attenzione.
1 Zukunft aus dem Glauben, Grunewald, Mainz 1978,90
2 Facing the World: Orthodox Christian Essay on Global Concerns, WCC Publications, Geneva, 2003,71.
3 Gregorio il Teologo, Discorso XLVII, Sulla Teofania, ossia la nascita del Salvatore, VEPES 60, p.68
4 Gregorio Palamas, Discorso sullo Spirito Santo, in P. Christou, vol. 1 Tessalonica 1962, p. 149
OMELIA DI SUA SANTITA’ K.K. BARTOLOMEO ARCIVESCOVO DI COSTANTINOPOLI – NUOVA ROMA E PATRIARCA ECUMENICO DURANTE IL CONFERIMENTO DELLA CITTADINANZA ONORARIA DELLA GRECIA SALENTINA Castrignano dei Greci – Castello Baronale De Gualtieris 3 Dicembre 2016
Eminenze, Eccellenze,
Egregio Signor Ivan Stomeo, Presidente dell’Unione dei Comuni della Grecia Salentina,
Egregio Dott. Antonio Zacheo, Sindaco di Castrignano dei Greci,
Egregio Signor Antonio Amato, noto e amato studioso della Grecia Salentina,
Illustri Sindaci,
Autorità tutte,
Fratelli e Sorelle nel Signore,
Egregio Signor Ivan Stomeo, Presidente dell’Unione dei Comuni della Grecia Salentina,
Egregio Dott. Antonio Zacheo, Sindaco di Castrignano dei Greci,
Egregio Signor Antonio Amato, noto e amato studioso della Grecia Salentina,
Illustri Sindaci,
Autorità tutte,
Fratelli e Sorelle nel Signore,
“Kalimera is alò aderffia a tin Grecìa Salentina”
“Ivò ìme poddhì cherùmeno ca ‘steo ittù sìmmeri,
amèsa is tu to jèno ca “mirizzi” a tze Greggia”
(Buongiorno a tutti i fratelli della
Grecìa Salentina - Sono molto contento di essere qui oggi in mezzo a
questa gente che ”profuma” di Grecia).
Vi ringraziamo per le cortesi parole
di benvenuto e per la prolusione così ricca e dettagliata sulla nostra
Modestia e sulla nostra Santa Chiesa Martire di Costantinopoli, il
Patriarcato Ecumenico. Abbiamo sentito una gioia immensa quando abbiamo
ricevuto il cortese invito del Signor Presidente dell’Unione dei Comuni
della Grecia Salentina per recarci in questa isola linguistica e
culturale dei Greci del Salento, e siamo stati molto onorati della
proposta di conferimento della Cittadinanza Onoraria. La abbiamo
accettata con grande commozione, perché abbiamo letto in questo onore la
forza di legami secolari, che il passare dei secoli e neppure la
odierna globalizzazione, possono raffreddare o addirittura cancellare.
Ma anche perché questo avvenimento potrà dare nuovo lustro, nuova forza
e una ancora maggiore unione a questa area dei Comuni della Grecia
Salentina, con un giusto riconoscimento a questa isola linguistica greca
e alle sue antichissime tradizioni storico-culturali.
Conosciamo la ricchezza dei siti
religiosi, alcuni dei quali anche visiteremo, che manifestano anche in
questi luoghi i legami profondi con la Madre Chiesa di Costantinopoli,
con la Iconografia e col monachesimo bizantino, riscontrabile nelle
cripte con i loro affreschi e le loro iscrizioni. Sappiamo della
esistenza di epigrafi, di una moltitudine di codici greci, provenienti
dai monasteri allora esistenti in quest’area, del Typikon dell’XI secolo
e della esistenza di una Scuola poetica in lingua greca. I canti
popolari tradizionali sia di carattere religioso che profano, ancora
conosciuti, sono la testimonianza di una vitalità esistente in questi
luoghi che deve essere tramandata anche alle generazioni future. Se il
Cristianesimo Bizantino è scomparso da queste terre, sappiamo tuttavia
che alcune vestigia del suo rito sono rimasti nelle tradizioni dei Canti
della Settimana Santa, “I Passiùna tù Cristù” e più particolarmente
nella tradizione di erigere nelle Chiese il Giovedì Santo i “Sepolcri”,
i “Sabburchi”, vestigia dell’Epitaphios del Rito Greco.
Il giusto riconoscimento di tutela
della lingua e delle tradizioni di questa area della Puglia da Parte
dello Stato Italiano, sono un ulteriore segno di attenzione e di
importanza che tutto questo riveste, non solo agli occhi di studiosi e
specialisti, ma come un patrimonio dell’umanità, una identità da
preservare e curare con amore.
La presenza greca in queste terre è
stata a lungo dibattuta dagli studiosi e ancora non ha trovato soluzioni
condivise, ipotizzando due momenti di immigrazione greca, una più
antica, risalente alla Magna Grecia, ed una più recente, risalente
all’ultimo periodo dell’Impero Romano d’Oriente, il tardo periodo
Bizantino e alla conseguente Caduta di Costantinopoli nel 1453. Tuttavia
sono così interessanti anche i racconti leggendari che vorrebbero la
prima presenza greca, dopo la caduta della mitica Ilio, con il re
cretese Idomeneo, sposo della bella Euippa, figlia di Malennio, primo re
del Salento, secondo la leggenda.
Non è da escludere che il greco,
essendo nell’Antico Impero Romano, la lingua colta, la lingua della
filosofia e delle arti, abbia mantenuto inalterato il rispetto,
nonostante il latino e le lingue che da esso sono derivate, fossero
parlate dalla maggioranza delle popolazioni limitrofe. D’altra parte
rinomati studiosi mondiali di questo idioma, hanno riscontrato delle
analogie tra la struttura linguistica del Griko e il Greco Classico,
difficilmente osservabili, se la presenza greca fosse fatta risalire
solo al periodo tardo bizantino.
Dobbiamo riconoscere che la Lingua
Greca, non ha avuto la diffusione della Lingua Latina e delle Lingue
Neo-Latine da esso derivate, proprio per l’uso colto del Greco.
Conseguenza di ciò è il fatto che la Lingua Greca sia motivo di unione
fino ai nostri giorni di tante aree del Mediterraneo che ancora
mantengono questa tradizione linguistica. La evoluzione dal Greco
Classico al Greco Ellenistico, ancora in uso nelle Chiese Ortodosse di
lingua Greca, ha prodotto importanti fenomeni di inter-culturazione,
mantenendo sempre però la identità linguistica. Se il Greco non ha
prodotto lingue afferenti, tuttavia ha prodotto fenomeni interessanti
per gli studiosi, come la evoluzione del Greco-Bizantino e del
Neo-Greco, con la variante della Lingua Pura, la Katharevousa, il Greco
di Costantinopoli, della Ionia, della Cappadocia, ove ancora sussistono
tracce linguistiche greche, Creta, Rodi, Alessandria d’Egitto, Cipro, i
Greci del Ponto e naturalmente i Greci di Calabria e i Greci del
Salento. Alla lingua sono correlati molti aspetti della tradizione
epica, leggendaria, della canzone popolare, della gastronomia,
mantenutesi in un aspetto del tutto autonomo, anche quando si fondevano
con altre tradizioni locali. Tradizioni mantenutesi per isolamento
geografico, o per legami offerti dal Mar Mediterraneo, e/o anche per il
ruolo religioso e culturale della Chiesa.
Naturalmente la immigrazione in
epoca tardo-bizantina, e a seguito della caduta di Costantinopoli, ha
fatto incontrare i nuovi arrivati con un substrato greco già esistente
in questi luoghi. Con essi, e ancor prima con la presenza della Chiesa
Ortodossa in queste terre, si è mantenuto il legame con la Chiesa Madre
di Costantinopoli, la quale da sempre - se da una parte ha annunciato il
Messaggio cristiano, secondo la tradizione della Chiesa d’Oriente – a
tanti popoli, rispettandone lingue e tradizioni, - dall’altra parte è
sempre stata custode della eredità linguistica e patristica greca delle
origini. Il Patriarca Ecumenico era, anche durante il Periodo Ottomano,
il capo del Millet Ortodosso, l’Etnarca, la guida del popolo, e anche
ai nostri giorni il Patriarcato Ecumenico mantiene tutta la sua eredità
bizantina, dei Romei, e custodisce la purezza della lingua Greca del
Fanar. Possiamo quasi dire che, indipendentemente dalle evoluzioni
geo-politiche che sono derivate dalla caduta dell’Impero Ottomano e
dalla nascita degli Stati moderni, come la Grecia, la Chiesa di
Costantinopoli, anche attraverso la lingua si sente Madre di tutti i
popoli che parlano greco, anche se le circostanze storiche e le
evoluzioni che sono conseguite, hanno reciso il legame religioso
esistente.
Signor Presidente, Autorità, Figli amati,
Ecco che oggi questi antichi legami
sono rinsaldati con rinnovato calore, con gioia e letizia indicibili,
perché anche le nostre Chiese si sono rincontrate grazie al memorabile
incontro tra i venerabili Padri nella Fede, il Papa Paolo VI e il
Patriarca Atenagora a Gerusalemme, sui cui passi hanno camminato e
camminano con nuovo slancio anche la nostra Modestia ed il nostro
Fratello a Roma, Papa Francesco. Gli intenti delle nostre Chiese sono
comuni, la collaborazione ed il rispetto caratterizzano i nostri
rapporti, il dialogo teologico tra le nostre Chiese avanza, affinché un
giorno possiamo di nuovo ritrovarci uniti davanti alla Sua Mensa.
Il Patriarca Ecumenico oggi è
cittadino di questi luoghi, è cittadino con gli altri abitanti dei
Comuni che formano l’Unione dei Comuni della Grecia Salentina, si sono
rinsaldati i legami con quest’area di cultura fra le più originali
esistenti in Europa e ve ne è particolarmente grato e onorato.
Vi auguriamo di cuore di mantenere
tutte le Vostre tradizioni, di insegnare la lingua ai bambini, i canti, i
racconti popolari, perché questo bagaglio millenario non abbia a
perdersi, immolato sull’altare del livellamento culturale, del tempo dei
computer e della globalizzazione. La ricchezza della cultura passa
anche attraverso questi momenti, e testimonia l’unità di un popolo, che
unito ad altri popoli forma la Famiglia Umana, per la quale Dio in
Cristo, e nato, è stato crocifisso ed è risorto per tutti noi.
Εὐχαριστῶ. Grazie.