di:
Lorenzo Prezzi
Fino a quando potrà durare il precario equilibrio delle Chiese ortodosse davanti al pericolo in atto dello scisma?
Un piccolo segnale da valorizzare è la
decisione dell’arcivescovo di Cipro, d’intesa con il patriarca di
Albania e con l’avallo di quello di Costantinopoli, di avviare una serie
di consultazioni con i patriarchi delle 14 Chiese storiche per trovare
una ipostesi di soluzione condivisa.
La divisione intraortodossa nasce dal
riconoscimento da parte di Bartolomeo dell’autocefalia alla Chiesa
ucraina, frutto di unificazione di Chiese “scismatiche” e in opposizione
alla Chiesa “canonica” e filorussa (fra i molti articoli sul nostro
sito cito: G. Parravicini, La crisi ucraina, apice di una crisi ecclesiale; P. Vassiliadis, Ucraina: teologia e unità dell’ortodossia; D. Keramidas, Ucraina, all’indomani del Tomos; L. Prezzi, Costantinopoli, l’Ucraina e la nuova geografia ortodossa).
Il conflitto militare con la Russia
nella regione del Donbass (11.000 morti), l’occupazione da parte di
Mosca della Crimea e il forte coinvolgimento dei poteri nazionali
ucraini nella domanda di autocefalia si sono temporaneamente attutiti
con l’elezione del nuovo presidente, Vladimir Zelensky (L. Prezzi, Ucraina: Zelensky e le chiese).
Lo scontro interno all’Ucraina è
diventato una frattura tra Costantinopoli e Mosca e, conseguentemente,
fra tutte le Chiese ortodosse.
Come sospesi
Il pericolo di una deflagrazione capace
di sbriciolare le relazioni fra le Chiese ortodosse è stato finora
contenuto dalla duplice distanza delle Chiese rispetto sia a Mosca che a
Costantinopoli. Pur riconoscendo che i sacri canoni prevedono la
canonicità di una Chiesa all’interno dei confini nazionali, il
riconoscimento costantinopolitano non è stato finora condiviso da
nessuna delle Chiese storiche.
Nello stesso tempo, la decisione di
Mosca di rompere unilateralmente la comunione eucaristica con Bartolomeo
non ha avuto seguito nelle Chiese.
Una doppia prudenza che può diventare un
luogo di coltura per una rinnovata coscienza dell’unità ortodossa. Ma
l’equilibrio è fragile e difficilmente durerà a lungo.
Per uscire dall’impasse, non si
può fare affidamento sull’iniziativa di Costantinopoli (che ha il
potere di convocazione della sinassi dei patriarchi) né sull’opposizione
sistematica di Mosca. Qualsiasi loro decisione diventerebbe divisiva.
Per questo è importane seguire l’azione dell’arcivescovo di Cipro,
Crisostomo, che il 15 maggio ha iniziato un viaggio in Serbia, Bulgaria e
Grecia per una prima ricognizione delle posizioni. Ha sottolineato
l’intesa con il patriarca di Albania, Anastasio, che non l’ha seguito
per motivi di salute e la non opposizione del patriarca Bartolomeo di
Costantinopoli.
Al ritorno, il vescovo cipriota si è
così espresso: «Dopo il tomo dell’autocefalia concesso dal patriarca
ecumenico, siamo tutti bloccati e nessuno si muove. E credo sia giusto
così perché, se alcuni si espongono nel sostegno al patriarca di
Costantinopoli, gli altri lo farebbero con Mosca. Allora ci sarebbe la
certezza matematica di uno scisma! Bisogna evitarlo a tutti i costi. Ho
ritenuto giusto, dopo averne parlato con l’arcivescovo di Albania,
Anastasio, di avvicinare il patriarca ecumenico, che si è mostrato
riservato. Alla fine siamo arrivati all’accordo di approcciare con molta
attenzione, rispetto e amore, tutti i primati, discutendo con loro
della questione per arrivare a una conclusione serena» (Orthodoxie.com, 24 maggio). Il processo è solo avviato e sarà necessario del tempo.
Assestamento in Ucraina
In Ucraina il clima si è temporaneamente
mitigato. La Chiesa filo-russa di Onufrio si è giovata della
sospensione del tribunale amministrativo circa il suo obbligo di
cambiare nome (da Chiesa ortodossa ucraina a Chiesa ortodossa russa in Ucraina),
ha apprezzato la maggiore distanza dalla vicenda ecclesiale del nuovo
presidente della Repubblica e va impugnando presso le autorità
amministrative le decisioni di trasferimento di chiese e comunità sotto
l’egida della nuova Chiesa ortodossa nazionale.
L’ultimo caso: alla fine di maggio, una
marcia di protesta di laici, preti e del vescovo locale filo-russo,
Melece, si è svolta davanti agli uffici amministrativi di
Tchernovitsy-Bucovina per avere indietro l’affidamento della chiesa
della Dormizione nel villaggio di Tovtry.
Gli oltre 90 vescovi della Chiesa
filo-russa sono rimasti all’obbedienza del loro primate (eccetto due).
Così la grande maggioranza dei preti.
Assai più tormentato l’avvio della
neonata Chiesa autocefala. L’anziano “patriarca” Filarete, il vero
motore della divisione da Mosca e del cammino verso l’autocefalia, non
ha digerito la sua emarginazione e ha puntigliosamente criticato gli
statuti della nuova Chiesa (in particolare quelli relativi al sinodo),
l’affermazione che il Patriarcato di Kiev sarebbe stato soppresso, la
distanza del nuovo primate Epifanio che non lo coinvolgerebbe, il fatto
che il suo nome non viene ricordato nel canone da tutte le comunità,
l’ordinazione episcopale di un greco per la minoranza ellenica. Poco
gradita anche l’apertura di Epifanio alla Chiesa greco-cattolica.
Quest’ultima si è finora giovata della
nuova situazione sia a livello di relazioni nelle comunità locali che in
quello dei vertici, sostenendo il radicamento popolare della nuova
Chiesa e la sua azione caritativa. Tanto che alcuni parlano di una
possibile unificazione nel futuro.
Il 5-6 luglio l’arcivescovo maggiore,
Sviatoslav Shevchuk, sarà a Roma assieme ai membri del sinodo e ai
metropoliti per un incontro col papa e i prefetti dei dicasteri
competenti. «In questo modo – dice l’arcivescovo – la nostra Chiesa
parteciperà all’elaborazione della visione e della strategia della Santa
Sede in relazione allo stato ucraino e alla comunità ucraina mondiale».
In vista di una rinnovata missione evangelizzante e di servizi più
efficienti ai poveri.
Roma, orante e silente
La Chiesa russa ha posto tutto il suo
peso ecclesiale (la Chiesa maggiore) e politico (il consenso di Putin)
per difendere le proprie posizioni aprendo nuove presenze ecclesiali
russe in tutti i territori prima condivisi con Costantinopoli,
candidandosi a ereditare la diocesi di tradizione russa in Europa
occidentale, interrompendo i dialoghi teologici a livello ecumenico e
non accettando alcuna critica ai propri comportamenti.
Rispetto al futuro, Vladimir Legoyda,
presidente del dipartimento per la società e le relazioni con i mass
media della Chiesa russa, ha così risposto a G. Valente (Vatican Insider,
6 maggio 2019): «Questo è un problema canonico e per questo abbiamo
bisogno di una discussione pan-ortodossa. Questa è l’unica via corretta.
Altre Chiese ortodosse sostengono la prospettiva di un incontro
pan-ortodosso per affrontare la situazione in Ucraina: Chiesa in Serbia,
la Chiesa in Albania, quella in Bulgaria, la Chiesa polacca, il
patriarcato greco-orodosso di Antiochia… Non vedo un altro modo per
risolvere il problema. Spero che il patriarca ecumenico lo capisca».
Voci molto critiche e argomentate contro
il comportamento della Chiesa russa vengono dalle Chiese di tradizione
ellenica e dalle Chiese periferiche che soffrono interventi diretti di
Mosca. È il caso del metropolita Ambrosio di Corea che elenca una serie
di dissapori e di incomprensioni con i gerarchi russi o quello del
metropolita di Tallin, Stefano.
La posizione di Roma si ispira a un
profondo rispetto di tutte le Chiese. Le istanze ecumeniche si sono
allineate nel consapevole “non-giudizio” rispetto agli eventi. Ne è un
esempio l’articolo di E. Bianchi su L’Osservatore Romano del 28
maggio: «Noi cattolici soffriamo a causa delle tensioni, delle
contraddizioni vissute a volte dalle diverse Chiese, compresa quella
cattolica, e ora soffriamo in modo speciale per l’interruzione della
comunione eucaristica decretata dal sinodo del patriarcato di Mosca nei
confronti di quello di Costantinopoli, due Chiese sorelle con le quali
la comunione che ci unisce è molto più forte di quello che ci separa».
La situazione indebolisce tutte le
Chiese e ferisce la forza dell’annuncio evangelico. Il rispetto
reciproco, la memoria dei martiri e il comune servizio ai poveri
propiziano l’autonomo cammino delle Chiese ortodosse nell’auspicata
ricostruzione della communio.