Storia e attualità della «finestra sull’Oriente» che attende Papa Francesco il 7 luglio
La tomba di San Nicola custodita nella Basilica di Bari
MARCO RONCALLI , lastampa
Tra pochi giorni Papa Francesco sarà di nuovo in Puglia. A Bari accoglierà i patriarchi delle Chiese cristiane del Medio Oriente, e, con loro, nella cripta della Basilica di San Nicola, ne venererà le reliquie che emanano mirra. Dopo un trasferimento sul Lungomare della città per un incontro di preghiera alla “Rotonda”, il Vescovo di Roma e i Dignitari ortodossi torneranno in basilica a riflettere e dialogare «a porte chiuse».
Un appuntamento importante, tappa di un cammino ecumenico, ma pure di partecipazione alla sofferenza e al bisogno di pace delle comunità mediorientali – tutto nel segno di lui: di Nicola, vescovo di Myra nel IV secolo, detto anche il Taumaturgo. E con l’auspicio che, nel nome del santo, dal capoluogo pugliese, crocevia di popoli e laboratorio di dialogo (si pensi al Centro Ecumenico Salvatore Manna, all’Istituto Teologico e a tante iniziative), oltre che finestra sull’Oriente (Bari è davvero un punto di congiunzione tra cattolici e ortodossi, qui i pellegrini arrivano da vari Paesi dell’Est, qui si sono approvati rilevanti documenti per l’unità della Chiesa, qui ha rappresentanza in Italia il Patriarcato di Mosca, città con la quale Bari collegata da un volo settimanale) possano avviarsi processi con conseguenze anche sotto i profili geopolitico e diplomatico per la martoriata area del Vicino Oriente dove si profila un futuro incerto per il cristianesimo.
San Nicola e Bari sono davvero un binomio inscindibile. Lo sono dall’approdo sulle coste pugliesi, secondo la tradizione nel 1087, delle reliquie del vescovo di Myra, sottratte da un manipolo di baresi per affermare una nuova identità alla loro città, già porto normanno e longobardo. Il fatto di maggior interesse è che da allora il santo e la città vivono in simbiosi, la comunità locale si è costruita un’identità forte da farla diventare «caput civitatum Apuliae», nel nome del Santo attorno al quale si stringe. Non solo anche la Basilica a lui dedicata ha assunto negli ultimi tempi i tratti di un «avamposto di comunione».
Anche a questo sono serviti secoli di pellegrinaggi al suo sepolcro, e, in periodi più vicini, decenni di studi e approfondimenti rigorosi, sempre più concentrati sulla figura storica e il significato di un culto diffuso e celebrato soprattutto nel mondo ortodosso (dove Nicola sta poco sotto la Vergine Maria, la Madre di Dio, non temendo rivali nemmeno con Sergio, Teodoro, Demetrio, ecc.). Anche a questo serve la sua «memoria obbligatoria» (benché solo da un anno) nel nostro calendario liturgico, mentre si attende una sua proclamazione quale patrono dell’ecumenismo cattolico-ortodosso. Così come a questo sono servite a consacrare il carattere ecumenico della città visite illustri. A partire da quella, pochi anni dopo la conclusione del Concilio, nel 1969, del metropolita di Leningrado Nikodim, del quale era allora segretario l’attuale patriarca di Mosca e di tutte le Russie Kirill, che pure ha visitato Bari nel 2004 e nel 2006 quando era alla guida del Dipartimento delle relazioni estere del Patriarca Alessio II. Sino alle ripetute visite del patriarca ecumenico di Costantinopoli Bartolomeo I, del metropolita Hilarion attuale capo delle relazioni estere del Patriarcato di Mosca, del metropolita Juvenalij di Krutizk e Kolomenskoe, del metropolita Feodosij di Tambov e Rasskazovo, e altre personalità ortodosse.
Visite legate a preghiere e omaggi comuni al Santo di Myra, al desiderio di stabilire rapporti di amicizia e interventi di mediazione anche lontano dalla Puglia, a candidare la città a sede naturale per gli auspicati incontri in Italia fra i Pontefici e il patriarca di Mosca, a scambi culturali, a mostre di icone e coedizioni, a doni reciproci, fra i quali comprendiamo quello - inimmaginabile sino a pochi anni fa - che, dal 21 maggio al 28 luglio 2017, ha consentito la “peregrinatio” (prima volta in assoluto) di una piccola reliquia del corpo di San Nicola a Mosca e San Pietroburgo, dov’è stata venerata da oltre due milioni di fedeli.
Un ruolo importante - da ricordare in questo lungo percorso – va ricondotto all’impegno di monsignor Enrico Nicodemo per vent’anni, dal ’53 al ’73, arcivescovo di Bari. Fu lui, nel 1957, mentre comunicava il ritorno delle ossa di San Nicola nella sua urna dopo lavori di restauro, ad affermare: «San Nicola non è il santo di Mira o di Bari, dell’Oriente e dell’Occidente, ma è il Santo di tutta la Cristianità». Fu lui a definire la sua Basilica «un punto d’incontro dell’Oriente con l’Occidente, una forza potente di reciproco richiamo», ed è andando incontro al suo desiderio e a quello dei Padri domenicani, lì insediatsi già durante il pontificato di Pio XII, che la Santa Sede consentì, per la prima volta, nel 1966, un fatto inedito. Ovvero l’apertura in una chiesa latina di una cappella orientale con tanto di iconostasi per la celebrazione della liturgia (seguita, due anni dopo, dalla fondazione di un istituto di Teologia ecumenica). Un luogo che, nella Basilica di San Nicola a Bari, si è ricavato da un’absidiola nella cripta, ed è oggi meta di sempre più numerosi fedeli ortodossi che vi accorrono non solo per i gesti di devozione come il bacio alla tomba del Santo, ma pure le liturgie, e sovente così in gran numero che ormai queste si celebrano anche sull’altare maggiore della basilica.
In ogni caso i fedeli delle diverse Chiese ortodosse «sorelle», quella russa, rumena, georgiana, etiopica, eritrea, greca, hanno in città i loro spazi, ovviamente secondo la propria presenza e la propria storia. E sarà sufficiente qui rammentare due esempi. La chiesa russa intitolata a San Nicola è situata nel Quartiere Carrassi: un imponente edificio presente già negli anni Venti del secolo scorso, dalle alterne vicende, ceduto alle autorità locali nel 1937, restituito alla Russia nel 2009 (con una riconsegna simbolica a da parte del presidente Napolitano della chiave della chiesa al presidente Dmitrij Medvedev). E, sempre dedicata a San Nicola, la chiesa della comunità greco-ortodossa, già appartenuta alla Chiesa cattolica con il nome di “Sacro Cuore”, donata due anni fa, il 5 dicembre 2016, presente, insieme all’arcivescovo di Bari Francesco Cacucci e al Metropolita Gennadios, il patriarca Bartolomeo I.
Insomma se Bari è la città del Santo che antichi inni orientali definiscono «regola di fedeltà», «immagine di mitezza», «maestro di continenza», del Santo indicato come «vescovo della confidenza e della rettitudine», presente anche nell’antica epica slava come un vecchio a fianco dei diseredati nelle città e nelle campagne, oggi, grazie alla sua Basilica pontificia (elevata a questo rango da Paolo VI), è il suo profilo di «capitale dell’ecumenismo» a essere continuamente rafforzato.
Un ruolo ben riconosciuto anche dal Papa venuto dall’Est, da San Giovanni Paolo II, pure pellegrino a Bari il 26 febbraio 1984, come il successore Benedetto XVI che vi si recò alla conclusione del Congresso Eucaristico nazionale il 29 maggio 2005. Papa Wojtyla, in particolare, per i novecento anni della traslazione da Myra a Bari delle reliquie del Santo, nel 1989, promulgò una costituzione apostolica, ribadendo quale «specifica vocazione» della Chiesa di Bari e della Puglia la «promozione delle attività ecumeniche».
Attività che questa volta si saldano in una tappa di comunione che non si sottrae a denunciare la tragedia umanitaria in corso da troppo tempo sullo scacchiere mediorientale. Così, l’ecumenismo si carica di nuove valenze. Non più solo l’ecumenismo della storia e dell’attualità, quello dei teologi e dei martiri, quello della pace e del riconoscimento di Cristo negli ultimi, quello del popolo, delle reliquie, della devozione, ma un ecumenismo a 360 gradi che guarda ovunque. Che questa volta ha scelto di fissare gli occhi sulla terra che ha conosciuto la prima evangelizzazione e la più recente persecuzione. Nell’indifferenza internazionale.