Arcidiocesi di Bari-Bitonto
«Preghiamo perché il Cristianesimo non scompaia dalla sua culla storica»
In occasione della visita di oggi a Bari, dove papa Francesco incontra 22 patriarchi delle Chiese e capi delle comunità cristiane del Medio Oriente, parla il metropolita Emmanuel di Francia, volto e voce del Patriarcato di Costantinopoli e delle Chiese ortodosse presso l’Unione europea
È il volto del Patriarcato di Costantinopoli e delle Chiese ortodosse presso l’Unione europea, il metropolita Emmanuel di Francia, classe ’58, nato a Creta, studi tra Parigi e gli Stati Uniti.
Uomo del dialogo, presidente dei vescovi ortodossi di Francia, ben
conosciuto negli ambienti “ecumenici”. Una voce interessante, dunque,
per capire cosa rappresenta questo incontro agli occhi del mondo, delle
Chiese e delle diverse religioni. «L'incontro a Bari
deve essere un segno di speranza per tutti i cristiani in Medio Oriente.
Non è la prima volta, ma purtroppo la situazione geopolitica nell'est
del Mediterraneo ci costringe a incontrarci ancora per chiedere la pace.
Pregare per i nostri fratelli e sorelle di quella regione non è solo un
obbligo morale, la situazione ci chiede di realizzare una volta e per
tutte la portata della tragedia che sta conducendo alla scomparsa del
Cristianesimo nella sua culla storica.
La memoria di cui sono portatrici le
comunità cristiane d'Oriente – in primo luogo il Patriarcato ecumenico
di Costantinopoli, così come le Chiese ortodosse antiche (i patriarcati
di Alessandria, Antiochia e Gerusalemme), le Chiese ortodosse orientali,
greco-cattoliche, cattoliche e protestanti - testimonia la possibile
convivenza con il mondo musulmano. Ma tale convivenza non sembra essere
accettata dai fondamentalisti e dagli estremisti.
Come hanno sottolineato molti studiosi, i
cristiani d’Oriente sono sempre stati mediatori, nel tempo e nello
spazio, delle società in cui si trovano. Mostrano con la loro stessa
esistenza che il Cristianesimo non ha paura della diversità religiosa,
perché dal pluralismo nasce il desiderio di libertà. Esiste quindi una
cultura storica all'interno delle nostre Chiese che consente relazioni
pacifiche con società prevalentemente musulmane, poiché queste stesse
società sono in grado di accettare la nostra presenza come segno
dell'incontro tra continuità storica e modernità.
Ripongo molte speranze in questo
incontro perché credo fortemente nella natura inclusiva del dialogo, che
sia ecumenico o interreligioso. La via del dialogo e della preghiera è
l'unica che oggi può consentire il mantenimento o persino il ritorno dei
cristiani nella misura consentita dalle condizioni politiche».
Un secolo fa, in Medio Oriente, i
cristiani rappresentavano il 20 per cento della popolazione, ora sono
il 4 per cento. Eppure «questa regione martoriata è il luogo in cui le
relazioni ecumeniche sono più promettenti, ma dove i cristiani
resteranno solo se la pace verrà ripristinata», ha detto il cardinale
Koch. Quali sono le condizioni per ripristinare la pace secondo lei?
«Voglio sottolineare che il mantenimento
delle comunità cristiane in Medio Oriente è essenziale per la
sopravvivenza del Cristianesimo nel mondo. Altrimenti, ci separeremmo
dalle nostre radici spirituali e storiche. Dobbiamo riconoscere loro un
posto speciale. Quando diciamo Gerusalemme, Damasco, Antiochia,
Alessandria, Costantinopoli, stiamo parlando di città che hanno visto
l'apparizione, la crescita e l'instaurazione del Cristianesimo. Queste
città diventeranno semplici luoghi di pellegrinaggio se non manteniamo
la presenza delle comunità locali. Nel caso opposto, queste città, per
quanto sante e sacre siano, non saranno altro che mausolei aperti,
luoghi della memoria e non più luoghi di vita.
Ma il mantenimento di un Cristianesimo
vivente nella regione dipende, tra le altre cose, dalla soluzione
politica che si troverà alla crisi in Siria, dalla ricostruzione dello
Stato di diritto a seguito della scomparsa dello Stato islamico,
chiamato anche Daesh, e infine dal rispetto dello status quo per la
città di Gerusalemme. La guerra e il conflitto hanno lasciato cicatrici
profonde. Le tensioni tra minoranze e la maggioranza devono ancora
essere pacificate. La soluzione è soprattutto politica, lo ripeto, e
questo è il motivo per cui tutti gli attori religiosi della regione
devono essere mobilitati.
Come cristiani, abbiamo un dovere di
esemplarità. La ricerca dell'unità dei cristiani nella comunione delle
Chiese diventa una realtà tangibile in questo contesto. La ricerca
dell'unità deve essere un vettore di pace e convivenza».
L'ecumenismo in Terra Santa si
basa sul sangue dei martiri. Quale messaggio viene da queste regioni per
il dialogo tra le Chiese, sia al loro interno – per esempio tra le
Chiese ortodosse - che tra di loro?
«Il sangue di questi nuovi martiri del
cristianesimo ci obbliga ad abbracciare la preghiera di Cristo: "che
tutti siano uno". (Giovanni 17:21)
Le condizioni politiche e la situazione
geopolitica in Medio Oriente fanno chiamano in causa in modo molto
pratico ciò che intendiamo per "dialogo di carità". Questa espressione,
che è nata durante la riconciliazione storica fra il Patriarcato
ecumenico e la Chiesa cattolica romana a partire dal 1960, rafforza la
mia convinzione che la sopravvivenza dei cristiani dipenda dalla loro
capacità di lavorare insieme ad una testimonianza il Vangelo. I
cristiani condividono un destino comune, che è sia difficile che
incerto.
Per tutti questi motivi, la ricerca
della nostra unità può essere un percorso profetico per il Medio
Oriente. Il lavoro di riconciliazione delle memorie aiuterà sicuramente
l'emergere di una pace duratura. San Paolo apostolo sottolinea
l'interdipendenza tra pace e unità quando scrive: " Vi esorto dunque io,
il prigioniero nel Signore, a comportarvi in maniera degna della
vocazione che avete ricevuto, con ogni umiltà, mansuetudine e pazienza,
sopportandovi a vicenda con amore, cercando di conservare l'unità dello
spirito per mezzo del vincolo della pace (Ef 4: 1-3).»
Quanto è importante il dialogo interreligioso per la convivenza pacifica? A cosa pensa si dovrebbe lavorare?
«Vedo la volontà del nostro mondo di
promuovere il dialogo anziché il conflitto. Questo è vero non solo per i
leader politici e le organizzazioni laiche, ma anche per i leader
religiosi e le istituzioni, che si sono mostrate disposte a impegnarsi
in un dialogo di pace sia a livello locale che internazionale per
assicurare la coesistenza pacifica e una collaborazione tra le persone.
Per me il dialogo è una virtù che può essere appresa e trasmessa. Il
dialogo è una cultura intimamente legata alla fede nella sua prassi
ecclesiale.
Il dialogo interreligioso è essenziale per stabilire un ambiente di pace. Come ha affermato il Santo e Grande Concilio (panortodosso, tenuto a Creta nel giugno 2016 ndr)
nella sua Enciclica: “Il dialogo interreligioso franco contribuisce
allo sviluppo della fiducia reciproca nella promozione della pace e
della riconciliazione. La Chiesa si sforza di rendere la "pace
dall'alto" più tangibile sulla terra”. (S.17)
Per questo motivo, il dialogo
interreligioso riconosce le differenze tra le tradizioni religiose e
promuove la coesistenza pacifica e la cooperazione tra persone e
culture. Il dialogo interreligioso non vuole negare la propria fede, ma
piuttosto cambiare la propria mente o il proprio atteggiamento nei
confronti dell'altro. In questo modo può così anche guarire e dissipare i
pregiudizi e contribuire alla comprensione reciproca e alla risoluzione
pacifica dei conflitti. Precomprensioni e pregiudizi derivano da una
falsa rappresentazione della religione. Come dice frequentemente Sua
Santità il Patriarca ecumenico Bartolomeo: “Il dialogo interreligioso
può scacciare la paura e il sospetto. È centrale per la pace, ma solo in
uno spirito di reciproca fiducia e rispetto”. Mi sembra importante, a
questo proposito, ricordare l'impegno del Patriarcato ecumenico con il
Centro di dialogo KAICIID, a Vienna, per le importanti iniziative in
questo campo. Tra le molte attività del centro vi è l'organizzazione di
incontri che riflettono e promuovono il principio della "cittadinanza
comune" come viene riconosciuta a tutti gli abitanti del Medio Oriente,
nonché la piattaforma di dialogo lanciata durante la riunione del
febbraio 2018».
Cosa si aspetta da questo incontro di Bari?
«Non possiamo che essere particolarmente
grati a Sua Santità, papa Francesco, per aver realizzato con gli altri
rappresentanti delle Chiese in Medio Oriente un'iniziativa del genere.
Molto dipende dall'eco che l'incontro avrà sugli attori principali di
questa nuova Questione d'Oriente. Come cristiani, pensiamo e crediamo
che la pace cominci con la preghiera. Inoltre, l'incontro di Bari è il
punto di partenza per una trasformazione che speriamo possa essere
profonda. I cristiani vogliono la pace. Pregano per la pace. Sono attori
di pace. E se desideriamo veramente la pace in Medio Oriente, non solo
per noi stessi, ma per tutti i popoli della regione, dobbiamo vivere
secondo la nostra vocazione. Perché, come canta il salmista, “cerca la
pace e perseguila” (Salmo 34, 15)».
Vittoria Prisciandaro
© www.famigliacristiana.it, venerdì 6 luglio 2018