Σάββατο 22 Δεκεμβρίου 2018

KOCH: IL PUNTO SULL: ECUMENISMO


Che cosa significano per l’ecumenismo le recenti tensioni in seno all’ortodossia? Il dialogo tra il Vaticano e Mosca si è di nuovo raffreddato? Che influsso hanno lasciato la celebrazione dell’anniversario della Riforma nel 2017 e l’“evento-Lund”? E quali nuovi progetti sono in vista? Sono domande a cui il Presidente del Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità, card. Kurt Koch, ha risposto in un’intervista a katholisch.de, pubblicata il 12 dicembre.

 – Card. Koch, l’ortodossia russa ha interrotto i contatti con il Patriarca di Costantinopoli in seguito al riconoscimento di una Chiesa ortodossa ucraina indipendente e si è anche ritirata dalla commissione per il dialogo cattolico-ortodosso. Cosa significa ciò per il lavoro ecumenico?
Il Patriarcato russo-ortodosso ha deciso di non partecipare più agli organismi che sono co-presieduti da Costantinopoli. Questo è anche il caso della nostra commissione internazionale per il dialogo: in questa commissione, sono io il presidente per la parte cattolica, mentre il rappresentante di Costantinopoli è l’arcivescovo Job. Per questo la Chiesa ortodossa russa non si è presentata nel novembre a Bose alla riunione del nostro comitato di coordinamento, in cui abbiamo discusso sulla continuazione del dialogo. È un fatto spiacevole.
Del resto, ciò era già avvenuto nel 2007 quando Costantinopoli aveva accettato la struttura ecclesiastica in Estonia. In quella circostanza, il Patriarcato di Mosca non partecipò alla riunione plenaria della commissione, a Ravenna. Ma è stato deciso dalle Chiese ortodosse di continuare il dialogo anche se una Chiesa non è presente. Il lavoro della commissione con le alte 13 Chiese ortodosse va quindi avanti.
– C’è un’interruzione di comunicazione tra il Vaticano e Mosca?
No. I nostri dialoghi e i contatti bilaterali con Mosca proseguono, come anche con Costantinopoli. Continuiamo a ricordare l’anniversario dell’incontro tra papa Francesco e il patriarca di Mosca, Kirill, nel 2016 a Cuba. L’ultimo è avvenuto a Vienna nel 2018. Anche per il prossimo 12 febbraio 2019 è previsto un nuovo incontro del genere, probabilmente a Mosca.
– Come vede la situazione ecclesiale in Ucraina?
Il Vaticano rimane strettamente neutrale e non prende alcuna posizione. Naturalmente è una posizione difficile poiché da Mosca è stata interrotta anche la comunione eucaristica con Costantinopoli. Ma si tratta di una problematica intra-ortodossa in cui noi non ci immischiamo, ma che naturalmente ci fa pensare; noi preghiamo perché possa essere trovata una soluzione.
Come prosegue il dialogo con l’ortodossia nel suo insieme? Che cosa è stato discusso nell’incontro ecumenico di Bose?
Abbiamo lavorato insieme alla stesura di un documento congiunto su “Sinodalità e primato nel secondo millennio e oggi”, ma non siamo giunti alla conclusione della lettura. Si tratta di una materia molto complessa. Il comitato di coordinamento riprenderà il lavoro nel novembre 2019. Dopodiché speriamo di essere pronti a convocare un riunione plenaria, possibilmente nel 2020.

– Ciò influisce negativamente anche nel dialogo ecumenico?
No. L’atmosfera a Bose è stata positiva. Ma è un’impresa difficile riassumere 1.000 anni di storia in 25 pagine in cui ambedue le parti si ritrovino. La volontà è di proseguire nel lavoro. E, anche se la tematica è difficile, essa è indispensabile per compiere ulteriori passi verso l’unità.
– Guardando indietro all’intero anno: cosa è rimasto della commemorazione della Riforma del 2017? L’“evento-Lund” è stato un incentivo per una nuova partenza ecumenica o un fuoco di paglia?
Certamente non è stato un fuoco di paglia. È stato altamente significativo che lo stesso papa Francesco abbia partecipato alla comune commemorazione della Riforma, a Lund, con il presidente della Federazione mondiale luterana. Il successivo accordo di Malmö tra la Caritas internationalis e le Opere sociali della Federazione mondiale luterana ha mostrato inoltre chiaramente che a noi stanno a cuore non solo la teologia e la liturgia, ma anche una più intensa collaborazione nel campo sociale. Io penso che la commemorazione della Riforma sia stata molto positiva e che abbia e debba avere degli stimoli per il futuro.
– Per esempio…
Spero che la commemorazione dei 500 anni dell’Augsburger Reichtag (Dieta di Augusta) per prendere congedo della “Confessio Augustana”, nel 2030, sarà altrettanto intensamente preparata e celebrata. Sono convinto che i protestanti e i cattolici nel corso della storia non siano mai stati così vicini come allora ad Augusta. La “Confessio Augustana” non fu un testo inteso a determinare le differenze, ma l’ultimo tentativo di conservare l’unità – grazie al grande impegno di Filippo Melantone. Proprio in Germania si dovrebbe utilizzare la commemorazione della Dieta di Augusta come opportunità per compire ulteriori passi.
– E come si procede ora nell’immediato?
Ci sono due progetti. Nel frattempo anche i Metodisti, i Riformati e gli anglicani hanno aderito alla Dichiarazione cattolica-luterana sulla giustificazione del 1999. Nel prossimo mese di marzo terremo una riunione in America per esplorare che cosa significa il fatto che questa comune Dichiarazione – inizialmente solo con la Federazione mondiale luterana – abbia riunito inaspettatamente attorno a sé una comunità più grande. Vogliamo esaminare quali conseguenze ne derivano.
In effetti, la Dichiarazione sulla dottrina della giustificazione aveva anche sottolineato che non erano stati risolti i problemi ecclesiologici. Per questa ragione, io, quattro anni fa, avevo proposto di elaborare una nuova Dichiarazione congiunta sul tema “Chiesa, Eucaristia e Ministero”. L’iniziativa è già stata accolta in alcune parti. In America il dialogo luterano-cattolico ha già adottato un documento a questo riguardo, così pure in Finlandia. Ora spero che, nel corso del prossimo anno, con il direttivo della Federazione mondiale luterana si possa continuare a discutere di questa Dichiarazione.
– In quanto “Dichiarazione congiunta” avrebbe un livello simile al documento sulla giustificazione?
Sarebbe bello se fosse così. Ma avverto anche alcune riserve da parte luterana, sul fatto che questo è un livello troppo alto. A mio parere, sarebbe un passo importante verso la comunione ecclesiale. Infatti, una Dichiarazione comune – a differenza del solito documento di una commissione per il dialogo – dev’essere accettata dal direttivo delle Chiese. Di testi di dialogo ne abbiamo già molti – e la carta è paziente. Ma, se non sono recepiti dalle Chiese, non possono rendere il grande servizio che dovrebbero.
– In una liturgia ecumenica del 2017, a Hildesheim, le due Chiese si sono “impegnate” a una migliore collaborazione anche sui problemi etici. Alcune settimane fa, una dichiarazione della Chiesa evangelica tedesca sulla diagnostica prenatale ha suscitato delle comprensibili critiche della Conferenza episcopale tedesca. Cosa significano queste differenze per il cammino ecumenico?
Lei evoca un problema fondamentale dell’ecumenismo. Noi oggi abbiamo parecchie differenze circa i problemi etici. Negli anni ’70 o ’80 lo slogan riguardante l’ecumenismo recitava: “la fede divide, l’azione unisce”. Oggi bisognerebbe dire quasi il contrario. Siamo riusciti a chiarire molti problemi di fede, ma sono diventati virali nuovi problemi in campo etico, soprattutto quelli bioetici. L’ecumenismo deve occuparsi anche di questi problemi.
– “Chiesa, Eucaristia e Ministero”: l’argomento tocca anche l’attuale discussione in Germania sulla comunione alle coppie di diversa confessione. I vescovi tedeschi, l’estate scorsa, non sono riusciti a mettersi d’accordo su una linea unitaria e vincolante. Una delegazione ne ha discusso anche con i rappresentanti del Vaticano. Come si procede a questo riguardo?
Papa Francesco ha deciso che questo testo non deve apparire come un documento della Conferenza episcopale, ma come un aiuto di orientamento per i vescovi. La difficoltà è tuttavia che il testo è rimasto uguale e viene letto come un documento della Conferenza episcopale. Siccome dovrà essere rielaborato in Germania, è là che deve essere esaminato.
– Ma dipende anche da Roma. È stato detto che anche lì dovrebbe essere ponderato.
Sì, ma, attualmente, qui a Roma, non figura come un grande progetto in corso.
– Roma ribadisce che l’argomento dev’essere trattato sul piano della Chiesa universale. Quale rilievo ha questo problema dal punto della Chiesa mondiale?
La prevista dichiarazione congiunta su Chiesa, Eucaristia, e Ministero mira esattamente a chiarire questo problema sul piano ecclesiale universale. Il problema dell’eucaristia non può essere considerato isolatamente. Per la concezione cattolica, la comunione eucaristica presuppone la comunione ecclesiale, mentre i protestanti dicono invece che la comunione eucaristica costituisce un cammino verso l’unità. Per questo è necessario approfondire il rapporto tra eucaristia e comunione ecclesiale.
– Lei vede un’opportunità per un futuro riavvicinamento nei problemi decisivi della comprensione dell’eucaristia e del ministero, così da rendere possibile una partecipazione reciproca?
Il grosso problema è certamente la tematica del ministero in cui ci sono due difficili interrogativi da affrontare: da una parte, il papato, che, per i cattolici, fa parte del problema del ministero. E un’unità senza il riconoscimento del papato per noi cattolici è difficilmente possibile. Dall’altra, abbiamo il problema e la sfida dell’ordinazione delle donne a pastori e vescovi che, secondo la Chiesa cattolica, non è possibile. Sono grosse difficoltà che, tuttavia, non devono impedirci di continuare questo cammino e di avvicinarci sui problemi fondamentali del ministero.