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La storica decisione del patriarca ecumenico Bartolomeo e del sinodo della Chiesa di Costantinopoli, con tutta la tempesta che ha suscitato (e che infuria su vari fronti) ci impone di riflettere molto seriamente, e di ricordare tre persone: padre Aleksandr Šmeman, padre Aleksandr Men’, padre Pavel Adel’gejm.
Cosa direbbero oggi? In questo giorno?
Non possiamo attribuire loro niente, visto che sono morti, però…
Merita ricordarli oggi. Ricordare padre Aleksandr Šmeman come l’uomo che cercò di ottenere l’autocefalia dalla propria Chiesa Madre, Costantinopoli, per la sua metropolia, e che a suo tempo combatté per i suoi diritti destreggiandosi tra gli stessi centri, il Fanar e Mosca. Ricordare i padri Men’ e Adel’gejm, i quali ebbero a soffrire direttamente per mano dell’episcopato che da una parte carezza l’«idea ucraina» e dall’altra il «mondo russo» e i suoi cocci.
Ma l’essenziale non è neppure questo… Cos’è l’essenziale?
Che questi tre presbiteri, questi tre pastori cercavano di portare gli uomini a Cristo, nella Chiesa.
A Cristo. Non all’impero. Non al sogno nazionale. non al vaniloquio sui diritti della Seconda o Terza Roma, non al ruggito «gloria all’Ucraina» invece di «gloria a Dio» nel cortile del patriarcato, e nemmeno alle Chiese Madri o ai battesimi di Kiev, non alle lavre né alle pergamene degli archivi, e non alle insaziabili autorità laiche (e sovietiche).
Per loro nella Chiesa c’era Cristo. E la comunità eucaristica non era fatta da patriarcati e giurisdizioni ma dagli uomini raccolti attorno alla Mensa.
Non si può appartenere alla Chiesa e comportarsi da zotici. Non si può governare la Chiesa e sputare sugli uomini. Purtroppo è quanto stiamo vedendo oggi. Da parte di tutti e tre i patriarchi in gioco. Persino del Patriarca ecumenico Bartolomeo, che pure amo moltissimo. È indubitabile che, accogliendo nella sua comunione migliaia di comunità e invitando tutti alla pace, ha cercato di fare una cosa buona. Ma questa intenzione verrà soffocata dal furore fantasmagorico, bestiale delle propaggini russa e ucraina del mondo sovietico. E il mondo sovietico è costruito a priori sull’arroganza. Sulla mancanza di rispetto per la persona. Sull’abitudine a schiacciare la persona a favore dell’idea o del programma. Così come avviene oggi.
Infatti la prima reazione della gente radunata nel cortile del patriarcato al Fanar è stata quella di ruggire «gloria all’Ucraina» invece di «gloria a Dio». È persino superfluo parlare della totale assenza di Cristo nella retorica dei «portavoce» di Mosca.
Da sin.: A. Men’, A. Šmeman, P. Adel’gejm.
Tre presbiteri, pregate per noi!
Voi avete subìto l’arroganza ma non l’avete «fatta vostra». Ne eravate liberi. Vivevate sognando un’altra Chiesa. Temo che non sareste contenti oggi. Non esultereste malignamente. E sicuramente non schiumereste di rabbia a causa delle «perdite» e degli «interventi». Sareste solo pieni di amarezza. Amarezza per il fatto che le persone non le hanno considerate. E fra loro anche Cristo. Infatti la Chiesa sono le persone attorno alla Mensa. Non il territorio. Non i programmi. Non i diritti, né la Rus’, né Bisanzio, né l’Ucraina. Ma la stanza polverosa al piano di sopra, dove uomini deboli e peccatori si protendono verso il calore di Cristo. E tra questi uomini ci sono greci, ci sono russi, ci sono ucraini… Ma niente patriarcato di Kiev, Chiesa ortodossa russa, Chiesa ortodossa ucraina. Non li prendono in blocco. Li prendono solamente con affetto. Uno per uno. E tutti insieme, conciliarmente.