OMELIA
DI SUA SANTITA’
K.K. BARTOLOMEO
ARCIVESCOVO DI COSTANTINOPOLI – NUOVA ROMA
E PATRIARCA ECUMENICO
DURANTE LA DIVINA LITURGIA PER LA
ESALTAZIONE DELLA SANTA CROCE
NELLA CATTEDRALE DI SAN PIETRO
***
Ιερώτατε Μητροπολίτα Ιταλίας και Μελίτης, K. Γεννάδιε,
Vostra Eccellenza Mons. Matteo Maria Zuppi, Arcivescovo Metropolita di Bologna,
Eminenze, Eccellenze, Reverendissimi Padri,
Figli amati nel Signore,
Ringraziamo il Signore misericordioso e buono che ci ha concesso quest’anno di festeggiare con voi amatissimo Fratello Arcivescovo Metropolita di Bologna Matteo, col vostro clero e con il vostro e nostro popolo la antichissima Festa della Esaltazione della Santa e Vivificante Croce. La nostra gioia tuttavia non può essere completa, perché non possiamo ancora partecipare all’unico Calice e all’unico Corpo del Signore, che è stato offerto e che si è offerto oggi in questa magnifica Chiesa di San Pietro, la Chiesa della Vostra Cattedra. Ma come dice il Salmo: “Davanti a te è tutto il mio desiderio e il mio gemito non ti è rimasto nascosto” (Sal. 37,9).
Abbiamo invece la possibilità di pregare assieme, di sentirci in comunione tra noi e di essere testimoni dell’amore relazionale della Santissima Trinità. Festeggiamo insieme infatti questa antichissima festa cristologica.
Questa festa probabilmente nasce a Gerusalemme, dopo il ritrovamento della Croce da parte della Beata Elena, madre di Costantino. Secondo la tradizione la Beata Elena fu guidata al luogo del ritrovamento della Croce dal forte aroma di una pianta, il basilico. Infatti durante la festa della Santa Croce, essa viene rivestita completamente con basilico.
Alcuni storici ecclesiastici, come Nicéforo e Filostòrge, affermano che la Croce, appena ritrovata, fu posta su una donna da poco deceduta e ebbe il potere di riportarla in vita. Per questo Sant’Elena portò il 14 settembre dell’anno 355 la Croce al vescovo di Gerusalemme Macario, il quale la innalzò lo stesso giorno sul Gòlgota, sul Calvario e da lì la portò nella nuova chiesa dell’Anàstasis, della Resurrezione, sulla tomba del Signore, al Santo Sepolcro.
La Croce fu rubata in seguito dai Persiani in quanto questi la ritenevano magica, uno strumento magico, ma la storia racconta che l’imperatore Eraclio la riportò a Gerusalemme. Era il 14 settembre nell’anno 626. Più propriamente alcuni storici pensano che questa data sia invece da collegarsi a un trasferimento della Croce a Costantinopoli. La chiesa di Gerusalemme tuttavia ritenne che essa dovesse appartenere a tutta la Cristianità e quindi, probabilmente per evitare ulteriori furti, la Croce fu suddivisa in piccoli pezzi che furono consegnati a tutte le chiese locali del tempo dell’oriente e dell’occidente: uno dei motivi per cui si riscontrano, soprattutto nei monasteri e soprattutto in grandi centri ecclesiastici piccole parti della Santa Croce. Secondo un’antica profezia, tutte queste parti della Croce si riuniranno a comporre l’unica e sola Croce alla fine dei tempi.
La festa della Esaltazione della Santa Croce, giunge dall’oriente in occidente grazie a Papa Sergio, che era di origine bizantina nel VII secolo.
La Chiesa nascente, la Chiesa apostolica identificava i cristiani con il simbolo del pesce, in quanto la parola “pesce”, ΙΚΘΥΣ in greco, era l’acronimo di “Gesù Cristo Figlio di Dio Salvatore”, tuttavia dobbiamo porre particolare accento a tutta la prefigurazione vetero-testamentaria della Crocifissione di Cristo. Il primo e più antico esempio della venerata Croce è riscontrabile nel “legno della vita”: la traduzione dei Settanta usa il vocabolo ξύλο per indicare quello che alle volte viene tradotto in Genesi come “albero della vita”. Il Libro della Genesi afferma: “Poi il Signore piantò un giardino in Eden, a oriente, e vi collocò l’uomo che aveva plasmato. Il Signore Dio fece germogliare dal suolo ogni sorta di alberi graditi alla vista e buoni da mangiare, tra cui l’albero della vita (il legno della vita) in mezzo al giardino, e l’albero della conoscenza del bene e del male.” (Gen. 2,8-9)
Tre tipi di alberi, cioè: accanto all’albero della vita Dio aggiunge l’albero del bene, del bello, della conoscenza e dall’altra parte l’albero che avrebbe fatto conoscere il male. Dice Severiano: “Affinché non potesse mischiarsi il bene con il male”.
Molti Padri della Chiesa hanno visto in questo il prototipo della Santa Croce. San Giovanni Damasceno vede nella Croce lo stesso segno: “Il legno della vita che nel paradiso ha condotto verso la morte, attraverso lo stesso legno di vita deve essere ora donata la resurrezione” (De fide Orthodoxa)
Un altro Padre, Filoteo di Costantinopoli, sottolinea che la morte di Adamo, e quindi dell’umanità, in essa la morte aveva avuto il meglio, cioè governava, ma la morte di Cristo e di quelli che muoiono con lui, porta alla resurrezione, alla vita, a una via di grazia e di salvezza per tutti gli uomini.
Riprendendo ancora San Giovanni Crisostomo, Padre della Chiesa, Arcivescovo di Costantinopoli, egli vede in tutto ciò tre simboli della debolezza: innanzitutto Eva, il legno e la morte. Questo in Adamo, come debolezza. Ma questi tre stessi simboli sono simboli di vittoria in Cristo. Al posto di Eva: Maria. Al posto del legno della conoscenza: il legno della Croce. Al posto della morte di Adamo: la morte di Cristo. Il legno della vita è quindi essenzialmente e fondamentalmente il legno della Croce di Cristo. Tra il primo tipo di legno e il secondo vi è una correlazione teologica: infatti entrambi portano ad uno stesso scopo, che è quello della vita eterna.
E per questo molti Padri della Chiesa caratterizzano, non solo in modo retorico, cioè con grandi parole, ma in modo teologico il legno della Venerata Croce come “legno di salvezza”, “legno di incorruttibilità”, “legno di vita eterna”, “pianta di immortalità”, e su tutte queste caratterizzazioni hanno dato molte spiegazioni e immagini.
Un’altra prefigurazione della Croce, si riscontra per i Padri nel sacrificio di Isacco: “Prendi il tuo figlio Isacco – dice Dio ad Abramo – figlio che tu ami molto e lo offrirai a me in sacrificio” (Gen. 22,2). Questo racconto, nella sua semplicità è sconvolgente: Abramo obbedisce con un atto di fede totale: era il suo unico figlio, così tanto atteso, così tanto amato; ma allo stesso tempo Isacco ha una fiducia illimitata nel padre e Isacco non si ribella. San Gregorio Pàlamas, Arcivescovo di Tessalonica nel XIV secolo, interpreta tutto questo dicendo che: “la fede non è una pazzia, ma una conoscenza che va oltre ogni ragionamento”.
Prefigurazioni le troviamo ancora in Esodo, nell’uscita del popolo dall’Egitto, nell’agnello pasquale della tradizione biblica, nel libro di Giona: tutte prefigurazioni della Crocifissione e Resurrezione di Cristo.
Mosè nel deserto alza il serpente di bronzo su un palo (Num. 21, 8-9). “Così sarà innalzato il Figlio dell’Uomo”. E a proposito di questa correlazione sant’Antonio, il padre dei monaci, invitava a contemplare Cristo in croce come Mosè invitava gli Ebrei a guardare il serpente sulla pertica. Mosè alzava le mani a forma di croce e metteva in fuga Amaléch (cfr. Es. 17,8-13). I Padri della Chiesa hanno visto nel Salmo 63 le braccia della Croce, quando noi leggiamo: “Al riparo delle tue ali posso cantare la mia gioia”. Ancora il Patriarca Giacobbe benediceva i nipoti con mani incrociate e Mosè è raffigurato, mentre traccia il segno della croce col suo bastone davanti al Mar Rosso (cfr. Es.14,16),
Cosa rivela allora la Croce, partendo dall’insegnamento biblico e patristico? Rivela i pilastri portanti della fede, assieme alla Resurrezione.
Per questo la Croce è strumento e simbolo, (simbolo inteso nell’accezione greca di σύν-βολος, qualcosa che unisce, al contrario di διά-βολος, qualcosa che divide), della redenzione del genere umano: non come simbolo idolatrico, ma come fondamento. Senza la Croce non potremmo pensare ad una Chiesa del Cristo Crocifisso.
L’Apostolo Paolo, nelle sue lettere, definisce la Croce per sé e per la Chiesa come un vanto: “Quanto a me, invece, non ci sia altro vanto che nella Croce del Signore nostro Gesù Cristo” (Gal. 16,13), “perché la parola della Croce è stoltezza per quelli che vanno in perdizione, ma per quelli che si salvano è potenza di Dio” (1 Cor. 18), appunto in quanto “Gesù Cristo è divenuto, per opera di Dio per noi, sapienza, giustizia, santificazione e redenzione in quanto crocifisso”. (1 Cor. 23,30)
Sappiamo bene che la croce, prima del sacrificio di Cristo, era uno strumento di condanna dei malfattori e che chi veniva crocifisso era considerato “maledetto” (επικατάρατος in greco). Gli ebrei non potevano pensare a un Dio-Uomo, al Messia, che morisse da “maledetto”: essi attendevano una guida, un combattente che li liberasse. I greci d’altra parte, lo sa bene San Paolo nella sua predicazione, non potevano tollerare un dio che moriva e, soprattutto, un dio che soffriva per la sua creatura, abituati agli dei dell’Olimpo che, pur essendo umanizzati, non passavano mai attraverso la sofferenza e la morte.
Il Dio Incarnato invece muore come un malfattore, su questo legno ignobile e di esso fa una fonte di redenzione.
La Croce, secondo la Innografia, rivela quattro verità: 1) La Croce è la più grande rivelazione della sommità dell’amore di Cristo, rivelazione che è stata realizzata nel mondo a favore dell’uomo. 2) La Croce è l’Amore che si rivela dal fatto di considerare il mondo come una realtà per trovare, vedere e conoscere Dio. 3) La Croce, è la rivelazione dell’amore ineffabile di Cristo come Dio-Uomo verso la sua creatura: l’uomo. 4) Nella Croce abbiamo la più potente rivelazione del Dio Trino.
“Sulla Croce si è manifestato l’amore del Padre che crocifigge, del Figlio che viene crocifisso, l’Amore dello Spirito Santo che trionfa per la forza della Croce. Tanto Dio ha amato il mondo: ecco l’inizio, il mezzo e il termine della Croce di Cristo. Tutto e solo l’amore di Dio” (S. Filarete di Mosca, Meditazioni)
Questo amore si manifesta, nella liturgia. “E’ veramente incomprensibile la crocifissione e inesplicabile la resurrezione: noi fedeli teologizziamo ciò che è segreto mistero. Questo mistero è segreto da secoli, è sconosciuto agli angeli, però per mezzo di Te, Madre di Dio, si è rivelato agli abitanti della terra. Dio si è incarnato in unione non confusa e volontariamente ha portato per noi la Croce, con la quale è risorto il Primo creato e ha salvato dalla morte le nostre anime”. (Sabato sera, paraklitikì)
La Croce, dunque, è diventata strumento di santificazione e grazia, con le sue braccia aperte Cristo abbraccia l’intero cosmo. Il nuovo legno non è più il legno dell’Eden, per il sacrificio di Cristo che porta forza, comunione all’intero genere umano, fratellanza, giustizia, pace. La venerazione della Santa Croce, quindi, non è idolatria, perché questa venerazione significa venerazione e adorazione allo stesso Cristo, che è il segno e il soggetto di questo sacrificio di redenzione. Questa nuova comunione umana in Cristo è assai diversa da ogni altro tipo di comunione, perché fondata sull’amore totale di Dio al punto che Dio ha dato il suo Figlio.
Nell’Exapostillario del Mattutino della Croce, l’Innografo dichiara: “La Croce, quindi, è custode di tutto l’universo. Croce bellezza della Chiesa, Croce fortezza dei re, Croce conferma dei fedeli, Croce gloria degli angeli e disfatta dei demoni”.
“Croce di Cristo, speranza dei cristiani, guida degli sviati, porto per chi è nella tempesta, vittoria nelle guerre, sicurezza di tutta la terra, medico dei malati, risurrezione dei morti, abbi pietà di noi” (Mattutino, Idiomelon). E il popolo risponde cantando il tropario proprio della festa: “Salva Signore il tuo popolo e benedici la tua eredità, donando vittoria ai re contro i barbari e proteggendo con la tua Croce la tua città”. A questo proposito scrive un illustre teologo del secolo scorso, p. Alexander Schmemann, che “non possiamo prendere la nostra croce e seguire Cristo se non abbiamo la sua Croce: è la sua Croce che ci salva, non la nostra”.
Allo stesso tempo la iconografia ha reso ciò che la Scrittura ha annunciato e la Chiesa vive.
Nelle rappresentazioni iconografiche bizantine il Crocifisso non viene mai rappresentato nel suo realismo della carne spossata e morta, né nell’agonia: non è mai un Dio sofferente. Giovanni Crisostomo a tale proposito dice: “Io lo vedo crocifisso e lo chiamo Re”. Il Salvatore in croce non è solo il Cristo morto, ma è il KΥΡΙΟΣ, il Signore della propria morte e della propria vita, resta il Logos della vita eterna che si consegna alla morte e la vince.
Per questo motivo nelle icone bizantine della Crocifissione non si riproduce di solito nell’iscrizione quanto datoci dagli Evangelisti (Gesù Nazareno Re dei Giudei), bensì la dicitura: ”Ο Βασιλεύς της δόξης, il Re della gloria”, perché all’Ade egli fu annunciato come “il Re della gloria”.
Un altro aspetto comune all’icona della Croce è che essa appare piantata sempre su un piccolo monte, il Golgota, il Calvario, nelle cui viscere si vedono un cranio e delle ossa. Il cranio è quello di Adamo, che costituisce l’uomo vecchio, il seme che è morto da cui è nato l’Uomo Nuovo, l’albero della vita. Una tradizione dice che la Croce fu piantata, dove era stato sepolto il primo uomo e su quell’uomo caduto si innalza l’Uomo Nuovo che è Cristo.
Fratelli e Sorelle, Figli amati nel Signore,
La Croce è il simbolo cristiano per eccellenza. I misteri della Chiesa si tengono per azione dello Spirito Santo con il Segno della Croce, non si tengono azioni liturgiche senza di essa. Le benedizioni sono col Segno della Croce, i sacri tempi innalzano la Croce. Paramenti, vasi sacri si segnano con la Croce. Il cristiano porta su di sé la Croce dalla nascita fino alla morte. La Croce sta nelle case, nei posti di lavoro, in macchina. La madre segna il proprio figlio con la Croce quando è ammalato, quando esce di casa: in ogni momento, bello o brutto, ci segniamo col Segno della Croce per la nostra tranquillità spirituale. Il cristiano inizia e termina il giorno con la Croce. La Santa Croce è il più grande custode dei fedeli: in ogni azione liturgica di santificazione la Chiesa segna i fedeli con la Croce.
Certamente questo avviene solo col libero concorso del fedele alla partecipazione della forza di redenzione alla sua intima unione di Cristo, non certo per un aspetto “magico” della Croce.
La Croce santifica e dà salvezza: con Essa l’uomo crocifigge il proprio egoismo e le passioni. Le croci possono anche essere molte per l’uomo: ad esempio citiamo la croce parlando di povertà, di malattia, di vedovanza, di crisi economica, di drammi familiari, di ateismo, di lotta spirituale del cristiano di fronte alla carne, al mondo, al diavolo, alla morte, a una cattiva morte, fino agli ultimi istanti della vita. Ma perché una croce? Per poter dire anche noi col ladrone: “Ricordati di me, Signore, quando sarai nel tuo Regno”.
Come portare la croce, allora? Così come Cristo ha fatto: portare la croce con fiducia nella resurrezione. Croce e Resurrezione, lo abbiamo detto all’inizio e lo diciamo anche alla fine, sono il fondamento della nostra fede e le colonne della nostra vita. Amen.