Πέμπτη 21 Σεπτεμβρίου 2017

BARTOLOMEO: IL COMPITO DELLE CHIESE E DELL’ECUMENISMO


di: Fabrizio Mandreoli, Settimana news

«La parola del profeta è sempre attribuita allo Spirito, ma ora egli fa parlare gli uomini. Vi è una continua kenosis dello Spirito, una continua discesa nel mondo con notevole discrezione. Questa ha fatto di Gesù il servo obbediente e sofferente di Dio, lui creatura dello Spirito, abitata dallo Spirito». Queste le parole in uno dei passaggi più significativi della riflessione proposta dal Patriarca Ecumenico Bartolomeo I del 13 settembre scorso al clero di Bologna. Parlando dell’azione dello Spirito Santo egli ne ha tratteggiato le operazioni nella creazione, nell’Incarnazione e nella Pentecoste per poi passare a trattare del mistero della Chiesa e quindi della liturgia, in specifico in quella eucaristica.
Citando le parole del teologo ortodosso Evdokimov il Patriarca ha affermato: «Quando lo Spirito Santo discende sulla Vergine abbiamo la natività di Cristo. Quando lo Spirito Santo discende sugli apostoli il giorno di Pentecoste, abbiamo la nascita della Chiesa, corpo di Cristo. Quando discende sul pane e sul vino li trasforma nella carne e nel sangue di nostro Signore; e trasforma ogni battezzato in un membro del Cristo (…). Lo Spirito lavora attraverso il tempo e trasforma il corpo della storia in corpo del regno, in Agnello».
Uno dei tratti della riflessione e della testimonianza complessiva di Bartolomeo I è proprio questo legame tra una comprensione approfondita della tradizione cristiana nella prospettiva dell’oriente Ortodosso e la percezione delle questioni più importanti della vita degli uomini e del nostro tempo.
È in tale quadro che egli rilegge con cura e attenzione anche il compito delle Chiese e del dialogo ecumenico: si tratta di un cammino comune in nome del vangelo del regno a servizio del bene degli uomini. Nel pomeriggio del 14 settembre – dopo una divina liturgia presieduta nella cattedrale di Bologna – si è svolta una intensa visita a Monte Sole, presso la comunità monastica della Piccola famiglia dell’Annunziata che, secondo le intenzioni di don Giuseppe Dossetti e della Chiesa di Bologna, ha un proprio monastero nei luoghi delle stragi nazifasciste avvenute nell’autunno del 1944. Egli dopo aver riconosciuto l’impressionante sforzo – spirituale, umano ed intellettuale – della comunità dossettiana verso l’ortodossia ha ricordato i molti momenti condivisi con l’attuale vescovo di Roma Francesco.
Bartolomeo ha ricordato i passi intrapresi insieme o in maniera convergente sia sul versante del riavvicinamento ecumenico sia al servizio ad alcune brucianti cause del nostro tempo: la pace in una terra turbata in più luoghi da sanguinose guerre e ingiustizie, la difesa della casa comune e l’emergenza ecologica, l’attenzione al dramma di milioni di uomini che migrano dai propri paesi e che si rivolgono ad una disorientata Europa e ad un’occidente chiuso ed arroccato, il lavoro per disinnescare il fondamentalismo ed ogni interpretazione violenta della religione, un attenzione per un’interpretazione spirituale – e quindi piena di cura e responsabilità – della vita e dell’esistenza insieme. Tutto questo lavoro viene percepito come il «proprio dovere» da parte del Patriarca che, su tutti questi temi e preoccupazioni, si trova in sintonia profonda con Francesco; sintonia che può essere riconosciuta come un segno – teologico ed epocale – davvero importante dei nostri tempi.
Chi ha potuto seguire la visita del Patriarca ne è uscito rinsaldato sull’unità esistente tra la vita interiore nella sua docilità allo Spirito Santo e il senso di una dilatata responsabilità storica e umana: «Come possiamo pertanto vivere nello Spirito Santo? Renderlo vivificante in noi: con l’umiltà; con la misericordia priva di ogni vanità e compiacimento; con l’obbedienza alla voce di Dio che ci fa rendere grazie e ci pone di fronte ai nostri fratelli, soprattutto i poveri; con la preghiera sempre e ovunque, interiore ed esteriore, priva di ogni egoismo, cosicché la sua grazia dimori in noi e questo necessita di una grande lotta spirituale». Si tratta della medesima lotta spirituale necessaria per l’ascolto dello Spirito nella propria interiorità e negli appelli che depone nella nostra storia comune.
Fabrizio Mandreoli è docente di teologia fondamentale presso la facoltà teologica dell’Emilia Romagna (FTER) e delegato per il dialogo ecumenico e interreligioso della diocesi di Bologna.

Testo integrale dell’omelia pronunciata a Bologna, il 13 settembre 2017, da sua santità K.K. Bartolomeo, arcivescovo di Costantinopoli, Nuova Roma, e patriarca ecumenico, durante l’incontro con il clero della diocesi sul tema “Lo Spirito Santo nel mistero della liturgia della Chiesa”. Una breve sintesi è già apparsa su Settimananews (18 settembre) a firma di don Fabrizio Mandreoli.

Lo Spirito Santo nel mistero della liturgia della Chiesa

Ιερώτατε Μητροπολίτα Ιταλίας και Μελίτης, K. Γεννάδιε,
Vostra eccellenza mons. Matteo Maria Zuppi, arcivescovo metropolita di Bologna,
Eminenze, eccellenze, reverendissimi padri,
Figli amati nel Signore,
con immenso piacere abbiamo accolto l’invito di vostra eccellenza, per partecipare a questi “tre giorni” di incontro del clero dell’arcidiocesi di Bologna e per condividere con voi questo importante momento di comunione.
Giungendo per la seconda volta a Bologna dalla città di Costantino, la Nuova Roma, dove la provvidenza di Dio ci ha posto alla guida della Santa e Grande Chiesa martire di Cristo, il Patriarcato Ecumenico e Primo Trono della Chiesa Ortodossa, dove con umiltà e amore presiediamo la sinfonia delle Sante Chiese Ortodosse Autocefale Locali, desideriamo portarvi l’abbraccio della nostra Chiesa e il fraterno bacio di pace.
L’incontro del clero di una diocesi, assieme al proprio vescovo, è un fatto di grande vitalità, perché permette un reciproco scambio di esperienze e di opinioni, una formazione e una crescita spirituale, ma soprattutto la ricerca di una κοινωνία di intenti, espressione di «fervore dello Spirito Santo» nella Chiesa di Dio.
Siamo stati invitati a proporre fraternamente alcuni pensieri sullo Spirito Santo nella celebrazione della divina eucaristia, cercando la connessione esistente tra essi. Per analizzare tale contesto è necessario fare alcune brevi premesse e considerazioni sullo Spirito Santo, come terza Persona della santissima Trinità, in relazione alla sacra Scrittura e alla patristica, poi al mistero della Chiesa, al vissuto della liturgia e dei sacri misteri, con particolare riferimento all’eucaristia, alle differenze tra Oriente e Occidente e, infine, alla relazione di esso col mondo e con l’umanità.
Non vogliamo proporvi un trattato di speculazione teologica – non è questo il contesto –, ma piuttosto un esame esperienziale del nostro tema.

Lo Spirito Santo nel contesto scritturistico e patristico

Nella tradizione ortodossa, lo Spirito Santo viene associato a tre momenti della storia della salvezza: la Creazione, l’Incarnazione e la Pentecoste e la sua presenza e azione sono sempre legati al dono della vita. I Padri del II Concilio Ecumenico a Costantinopoli, nel 381, hanno espressamente affermato che lo Spirito Santo «è Signore e dà la vita» … Και εις το Πνεύμα, το Άγιον, το κύριον, το ζωοποιόν.
La creazione
Il vocabolo Ruah, che troviamo nel testo ebraico per ben 389 volte, è stato tradotto ora con vento, ora con alito, ma anche soffio, respiro o «vuoto», quello che poi sarà tradotto dai greci con Πνεύμα, ha un preciso riferimento alla vita.
Il primo accenno si trova in Genesi: «In principio Dio creò il cielo e la terra. La terra era informe e deserta e le tenebre ricoprivano l’abisso e lo Spirito di Dio aleggiava sulle acque» (Gen 1,1-2). È la prima manifestazione cosmica del soffio di Dio, senza tempo e senza spazio, tuttavia presente, che agisce e che parla: «Sia la luce, e la luce fu» (Gen 1,3).
L’azione dello Spirito legata al parlare di Dio è riscontrabile in molti passi: «Dalla parola del Signore furono fatti i cieli, dal soffio (Ruah) della sua bocca ogni loro schiera» (Sal 33,6), e ancora «mandi il tuo spirito, sono creati e rinnovi la faccia della terra» (Sal 104,30).
Esso è una potenza, una forza che non è esterna a Dio, ma è dentro Dio, è qualcosa di animato, di vitale che compenetra e conferisce una forza superiore. È regale e profetica: «Lo spirito del Signore irruppe su Sansone ed egli, senza niente in mano, squarciò il leone come si squarcia un capretto» (Gdc 14,6), «Lo Spirito del Signore si posò su Davide da quel giorno in poi» (1Sam 16,13) e «Lo spirito del Signore venne su di me e mi disse: Parla, dice il Signore» (Ez 11,5) e ancora Isaia dice: «Nascerà uno sul quale si poserà lo Spirito di sapienza e di timore del Signore» (Is 11,2-3).
Lo Spirito del Signore o Soffio di Dio, dona l’azione dinamica di Dio nella storia, colui che sta all’origine dell’uomo: «Soffiò nelle sue narici un alito di vita e l’uomo divenne un essere vivente» (Gen 2,7). E con esso si forma la dimensione di relazione e di comunione con Dio. Senza la Ruah di Dio siamo informi e deserti: «Solo un soffio è ogni uomo che vive, come ombra è l’uomo che passa: solo un soffio che si agita, accumula ricchezze e non sa chi le raccolga» (Sal 39, 6-7) dice il Salmista.
La relazione con Dio diverrà messianica, ove «giustizia e pace si baceranno» (Sal 85), perché in essa si concentra la fortezza di Davide, la sapienza di Salomone e l’intelligenza dei Profeti.
Lo Spirito di Dio tende a cambiare il cuore dell’uomo, genera una nuova antropologia, diviene libera relazione di Dio con l’umanità per la sua salvezza. «Vi darò un cuore nuovo, metterò dentro di voi uno spirito nuovo… Porrò il mio spirito dentro di voi… (Ez 36,26-27).
Egli non violenta la vita dell’ospite, ma agisce nella vita dell’uomo in modo potente, ma anche discreto e silenzioso, come durante l’incontro con Elia sul monte: «Dopo il fuoco ci fu un mormorio di un vento leggero. Come l’udì, Elia si coprì il volto con il mantello, uscì e si fermò all’ingresso della caverna. Ecco, sentì una voce che gli diceva: Che fai qui, Elia?» (1Re 19,13).
È il riflesso della luce eterna, della Sapienza di Dio: Spirito intelligente, santo, unico, molteplice, sottile, agile, penetrante, incontaminato, chiaro, impassibile, amico del bene, acuto, incoercibile, benefico, amico degli uomini, costante, fermo, tranquillo, che tutto può, vigila su tutto, penetra tutti gli spiriti, gli intelligenti, i puri, i più sottili» (Sap 7,22). Saranno i doni che riposeranno sull’Unto per eccellenza. «Una missione che viene da Dio per un’effusione di vita nell’intimo degli uomini: è certamente questo il punto centrale della teologia dello Spirito Santo nell’Antico Testamento» (H. Cazelles. Lo Spirito di Dio nell’A.T.).
L’Incarnazione
Nel Nuovo Testamento lo Spirito viene compreso come una forza, una potenza divina.
Il primo accenno lo troviamo in Luca: «Lo Spirito Santo scenderà su di te e la potenza dell’Altissimo ti coprirà con la sua ombra» (Lc 1,35). È l’inizio della vicenda terrena di Gesù, l’Incarnazione e anche la definitiva affermazione dell’espressione «Spirito Santo». Egli è «concepito di Spirito Santo» e, grazie ad esso, Gesù dà il via ad una nuova creazione, nella quale Dio restaura l’uomo e lo fa a sua immagine.
Successivamente esso viene presentato dai Sinottici al battesimo di Gesù al fiume Giordano: «E, uscendo dall’acqua, vide aprirsi i cieli e lo Spirito discendere su di lui come una colomba» (Mc 1,10). Lo Spirito scende, viene effuso e Gesù è costituito “Cristo”, Unto di Dio, il Messia. È rivestito del triplice mistero di profeta, sacerdote e re, «aggregandoci a sé come popolo scelto, sacerdozio regale, nazione santa» (Div. Liturgia di san Basilio). Ma è lo stesso Gesù che sottolinea il rapporto tra il Cristo e lo Spirito, fin dalla sua predicazione, quando applica a se stesso la profezia di Isaia: «Lo Spirito del Signore è su di me… Oggi si è compiuta questa Scrittura che avete ascoltato» (Lc 4,14-21).
Lo Spirito Santo risplende in tutta la missione terrena del Cristo. Egli è il ricettacolo dello Spirito che si manifesta in lui contro le potenze alle quali l’uomo è asservito dopo la caduta. Egli «rende lo spirito» sulla croce ma, Risorto, è uno «spirito vivificante» (1Cor 15,45) per il mondo.
Tuttavia nel Nuovo Testamento lo Spirito non parla. Egli mantiene il silenzio, non parla da se stesso ma accompagna la missione visibile del Figlio. Nell’Antico Testamento ha ispirato i Profeti. La parola del profeta è sempre attribuita allo Spirito, ma ora egli fa parlare gli uomini. Vi è una continua kenosis dello Spirito, una continua discesa nel mondo con notevole discrezione. Questo ha fatto di Gesù il servo obbediente e sofferente di Dio, lui creatura dello Spirito, abitata dallo Spirito.
La Pentecoste
Con l’effusione dello Spirito Santo sugli apostoli nel giorno di Pentecoste, si compie l’opera terrena del Cristo e inizia il periodo della Chiesa: «ed essi furono tutti pieni di Spirito Santo e cominciarono a parlare altre lingue come lo Spirito dava loro il potere di esprimersi». (At 2,1-4). D’altra parte, Gesù lo aveva annunciato nel suo discorso alla donna Samaritana: «Credimi donna, viene l’ora, ed è questa, in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità» (Gv 4,23) e lo testimonia facendo conoscere lo Spirito Paraclito: «Il Paraclito, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, egli vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che ho detto» (Gv 14,26).
Con la resurrezione, Gesù è reso pienamente partecipe della relazione d’amore che esiste tra Padre e Figlio, definito con molti nomi, dono-amore-persona-Consolatore. Egli ha preparato l’avvento del Figlio e porta a compimento l’azione posta in essere dal Cristo storico, la fa fruttificare nel popolo nuovo, la Chiesa. Così, secondo l’espressione di sant’Ireneo, Cristo e lo Spirito Santo sono «le due mani del Padre».
Non possiamo contemplare il mistero della Chiesa senza credere nello Spirito Santo, lo Spirito che santifica. Esso è il vero dinamismo della Chiesa e di ogni credente. Contemplare il mistero per la teologia patristica significa innanzitutto contemplazione del mistero trinitario. San Basilio il Grande, vescovo di Cesarea, scrive, rappresentando il pensiero dei Padri Cappadoci che, «come colui che afferra un’estremità della catena trae a sé, insieme con essa, anche l’altra estremità, così colui che attira lo Spirito, attira assieme con esso il Figlio e il Padre (Epistole 38,4 PG 32,332). Per questo, nella tradizione Ortodossa, la Pentecoste celebra l’opera dello Spirito Santo, ossia la rivelazione della santa Trinità e solo il lunedì successivo festeggia Colui che la rivela.
L’Oriente non ha mai conosciuto il cristocentrismo o il pneumatocentrismo. Ogni relazione è trinitaria; in quanto la relazione tra il Padre e il Figlio è legata all’uguaglianza del dono totale di sé e alla manifestazione di questo amore che sale sulla croce e scende nella tomba.
«Unico è il principio di tutte le cose – scrive san Basilio –, che crea mediante il Figlio e porta a compimento nello Spirito Santo» (De Spiritu Sancto 16,38). L’amore trinitario pertanto santifica tutto, non solo l’uomo ma anche la natura è in sintonia solo se è in comunione con Dio e quindi “riempita” di Spirito Santo.
Alla festa dell’Epifania, nella Grande benedizione delle Acque, questo concetto è manifesto: «Tu santificasti le acque del Giordano, inviando dal cielo il tuo Santo Spirito e schiacciasti le teste dei dragoni nascosti». Questa prima trasfigurazione cosmica richiama il rapporto originario del paradiso tra Dio, l’uomo ed il cosmo, e la natura riceve «la grazia della redenzione, la benedizione del Giordano» e diviene «fonte di immortalità, distruzione e remissione dei peccati, guarigione delle infermità, distruzione dei demoni».
Così noi entriamo nel mistero della Trinità per il mistero della divino-umanità di Cristo che rivela il mistero della nostra partecipazione, per mezzo dello Spirito Santo, alla vita divina trinitaria. Partecipiamo alla stessa vita di Dio solo se viviamo della vita divina, – κοινωνία – comunione in Dio e con Dio, se «l’anima è santificata dal santo e vivificante Spirito» (Cirillo di Gerusalemme, Catechesi mistagogiche).
Il Figlio viene nel nome del Padre per farlo conoscere e compiere la sua volontà. Lo Spirito viene nel nome del Figlio per rendergli testimonianza, manifestarlo e portare a termine coi suoi doni l’opera di Cristo. «Lo splendore della Trinità irradiava progressivamente», dice san Gregorio Nazianzeno. Scriveva un noto teologo russo, Pavel Evdokimov: «Quando lo Spirito Santo discende sulla Vergine, abbiamo la natività di Cristo. Quando lo Spirito Santo discende sugli apostoli il giorno di Pentecoste, abbiamo la nascita della Chiesa, corpo di Cristo. Quando discende sul pane e sul vino, li trasforma nella carne e nel sangue di nostro Signore; e trasforma ogni battezzato in un membro del Cristo… lo Spirito lavora attraverso il tempo e trasforma il corpo della storia in corpo del regno, in Agnello»[1] (P. Evdokimov).

Il mistero della Chiesa

Secondo i Padri, la Chiesa pre-esisteva nel volere e nelle intenzioni di Dio e costituisce il primo atto creativo di Dio. Secondo il Pastore di Erma, la Chiesa è stata creata prima di ogni cosa e per lei è stato costituito anche il mondo.
Con la Pentecoste comincia la storia della Chiesa e si manifesta nella predicazione apostolica e nella prima eucaristia. Da essa si istituisce il sacerdozio; il vescovo è prima di tutto testimone dell’autenticità della Cena del Signore e suo presidente. Essa è la vita di Dio nell’uomo, comunità sacramentale e sacramento della Verità, una Pentecoste perpetua vivificata dalla Spirito, i cui discepoli sono costituiti «tempio di Dio» perché «lo Spirito abita in loro» (1Cor 3,16) e lo stesso Spirito diffonde nella comunità molti doni e suscita carismi e ministeri diversi al suo interno. «Vi sono poi diversità di carismi, ma uno solo è lo spirito. Vi sono diversità di ministeri ma uno solo è il Signore. Vi sono diversità di operazioni ma uno solo è Dio che opera tutto in tutti» (1Cor 4-5).
Gli apostoli hanno ricevuto dal Signore il comando di ammaestrare tutte le nazioni battezzandole «nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo» (Mt 28,19). Su questo passo si sono formati i grandi Simboli della Chiesa, che hanno contribuito a diffondere e radicare nei cristiani la fede nello Spirito Santo, come inseparabile da quella nel Padre e nel Figlio.
Anche nella Chiesa, lo Spirito manifesta la relazione di comunione tra le Persone Divine, si fa dono in un profondo vincolo d’amore. Comunione teandrica del divino-umano in Cristo, che fa dire a sant’Atanasio di Alessandria: «Il Figlio di Dio si è fatto uomo per farci Dio (De Incarnatione 54,3). Così nella Chiesa, corpo di Cristo, tutta l’umanità è ricapitolata e si integra nel suo corpo, e lo Spirito apre a tutti i carismi propri di ciascuno. Le lingue di fuoco a Pentecoste non esprimono astrazione, ma rivelano i doni dello Spirito Santo: «si dividevano e se ne posò una su ciascuno di loro» (At 2,3), e questo fa dire a san Cirillo di Alessandria che «siamo fusi in un solo corpo, ma divisi in personalità» (In Ioannem, XI).
La Chiesa nascente, pur conoscendo la forza dello Spirito Santo, si è impegnata in una profonda riflessione ed elaborazione teologica per comprenderne la sua realtà divina, ma fin dal Concilio di Gerusalemme e fino ai nostri giorni, essa ha posto l’accento sull’espressione: «È parso bene allo Spirito Santo e a noi…» (At 15,13), testimoniando effettivamente che lo Spirito Santo, a somiglianza del suo agire in Cristo, rende la Chiesa popolo, corpo, sposa, mistero: una, santa, cattolica e apostolica, che il teologo russo AleksejChomjakov definisce: «La Chiesa è la vita universale dell’amore e dell’unità» e «La Chiesa è la vita di Dio negli uomini».
L’inno di Pentecoste della liturgia bizantina esprime pienamente il mistero della Chiesa: «Benedetto sei Tu, Cristo o Dio nostro, che hai reso sapientissimi i pescatori, inviando loro lo Spirito Santo e, per mezzo loro, hai preso nella rete l’universo, Amico degli uomini, gloria a Te».[2]

Lo Spirito Santo nella liturgia e nei sacri misteri

L’insegnamento della Scrittura e dei Padri ci introduce nell’azione operativa dello Spirito Santo, che si manifesta nei sacramenti e nella liturgia. L’Oriente in essi non vede solo il rimedio ai nostri peccati e ai nostri bisogni, ma principalmente la manifestazione di Dio e l’effusione delle sue energie deificanti. Egli è il Paraclito, colui «che è chiamato accanto» = παρα /καλέω, il Consolatore, che offre e si offre. Paràklisis, è un canone di supplica, e Paràklitos è colui che ci consola nella supplica. «La stessa vita del mondo è lo Spirito Santo, datore di vita, la stessa gioia e bellezza del mondo è il Consolatore», scrive Sergej Bulgàkov.[3]
Cristo, tornato al Padre, affinché potesse discendere lo Spirito, un altro Consolatore, fa dire a san Simeone il Nuovo Teologo: «Lo Spirito non rimane estraneo alla volontà della sua missione, ma compie attraverso il Figlio quello che desidera il Padre, come se fosse un solo volere» (Catechesi).
L’azione sacramentale dello Spirito Santo non si racchiude nei singoli atti epiclettici, di invocazione, ma sono una completa epifania della sua azione nella Chiesa. Così nel battesimo l’acqua santificata è il veicolo dell’energia divina che rigenera. L’acqua è vita, così come l’acqua che sgorga dal costato di Cristo è Spirito Santo. Nell’unzione cresimale conferisce i doni dello Spirito e il crisma è santificato con un’epiclesi, così come ogni atto ecclesiastico ha una propria epiclesi, in cui operano le energie deificanti dello Spirito Santo. Nell’ordine, la discesa dello Spirito santo impone il silenzio, come viene descritto da Ippolito di Roma. La lex credendi della teologia patristica passa nella liturgia a formare la lex orandi.

Lo Spirito Santo nella celebrazione della divina eucaristia

I primi cristiani «erano assidui nell’ascoltare l’insegnamento degli apostoli e nell’unione fraterna, nella frazione del pane e nelle preghiere» (At 2,42). La pasqua del Signore non diviene solo un memoriale, una commemorazione, ma diviene una Pentecoste epifanica in cui lo spazio temporale dell’azione, diviene hic et nunc. Il fedele che si avvicina ad essa prega: «Fammi oggi partecipe della tua mistica cena, o Figlio di Dio». È un partecipare a qualche cosa che non passa mai. San Giovanni Crisostomo dice: «Tutta l’eucaristia è stata offerta una volta e non è mai esaurita. L’Agnello di Dio, sempre mangiato e mai consumato» (Ep. agli Ebrei, 17).
Il “come” e il “cosa” avviene nella liturgia non è mai stato dibattuto nel primo millennio né in Oriente, né in Occidente. Solo tra il IX e l’XI secolo, la questione appare in Occidente nell’interpretazione del De Sacramentis di sant’Ambrogio di Milano, che evolverà successivamente durante la Riforma Protestante nelle discussioni interpretative dei verbi “essere” e “significare”, attribuiti al Corpo e Sangue del Signore. L’Oriente non ha mai posto una questione eucaristica, semplicemente accettando il «Questo è il mio Corpo» come miracolo ineffabile dell’amore divino.
Ricca, invece, è la riflessione sull’epiclesi, l’invocazione dello Spirito Santo sui doni e sui fedeli. «Se lo Spirito non fosse presente – scrive il Crisostomo – la Chiesa non esisterebbe». George Florovskij testimonia che «comunione sacramentale non significa altro che escatologica»[4] e Ioannis Karmiris, più specificatamente scrive: «È stato giustamente osservato che l’eucaristia fa la Chiesa».[5]
Fratelli amati nel Signore,
prima di sondare il grande mistero dell’epiclesi, è opportuno sottolineare le parole di san Basilio sul celebrante: «Cerca, o sacerdote, di prepararti come un lavoratore che non ha di che vergognarsi e che dispensa rettamente la parola di verità. Non accingerti mai alla sinassi serbando inimicizia verso qualcuno, per non mettere in fuga il Paraclito…». Egli infatti, il celebrante, consacrando se stesso a Cristo, diviene strumento di Cristo, sta in luogo di Cristo, perché il vero officiante della liturgia è Cristo stesso: colui che ha celebrato l’eucaristia «durante quella cena, anche oggi opera lo stesso miracolo» (G. Crisostomo). Infatti, al celebrante si richiede una purezza angelica, perché sia ministro di un’opera che Dio non ha affidato neppure agli angeli. Perché nella liturgia si compie tutta la divina economia per la nostra salvezza in Cristo.
Ogni atto liturgico inizia con un’epiclesi trinitaria, che in Oriente suona così: «Benedetto il regno del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo». In essa Dio è oggetto e soggetto del culto liturgico, Logos ed eucaristia, liturgia dei catecumeni con al centro il Vangelo e liturgia dei fedeli con al centro il calice, senza separazione e senza opposizione: «la Parola fatta carne»[6] (P. Evdokimov).
1. L’epiclesi
Quando parliamo dell’eucaristia, non possiamo disgiungerla dall’intera liturgia. Essa è un unico atto che attualizza l’epiclesi e termina solo quando i fedeli cantano: «Abbiamo visto la vera luce, abbiamo ricevuto lo Spirito celeste, abbiamo trovato la vera fede, questa infatti ci ha salvato».
Come sinassi eucaristica, essa è una liturgia in cui l’economia della salvezza è proiettata al regno di Dio. In essa viene rappresentata tutta la comunità escatologica, per cui una liturgia senza i vari elementi, ordine, ministeri e fedeli è impensabile. «L’eucaristia – quindi – è una comunione d’amore e un prender parte al corpo e sangue di Cristo, che è pieno di Spirito Santo. Partecipiamo a Cristo ma, nello stesso tempo, nella comunione dello Spirito Santo» (J. Zizioulas)[7].
Nell’anafora di san Basilio, la preghiera rivolta al Padre sottolinea questo momento sacro: «Riunisci l’un l’altro nella comunione dell’unico Spirito Santo noi tutti che partecipiamo all’unico Pane e all’unico Calice».
Nell’epiclesi lo Spirito Santo non discende solamente sui doni offerti, ma sui celebranti e su tutta la sinassi eucaristica. E una «comunione di santi», intesa come comunione con le cose sante e comunione di persone sante. «L’eucaristia diventa quindi il sacramento dell’amore» (J. Zizioulas).
L’azione dello Spirito Santo, l’epiclesi eucaristica è testimoniata in tutte le anafore delle liturgie orientali, così come in quella mozarabica, gallicana, celtica e aquileiese. A Roma si riscontra in antiche tradizioni, come quella di Ippolito, ma scompare – come abbiamo già accennato – con lo sviluppo della teologia sacramentale di sant’Ambrogio, che troverà successivamente la sua interpretazione in Tommaso d’Aquino, i verba substantialia della consacrazione, le parole istituzionali di Cristo che hanno valore consacratorio.
Dobbiamo tuttavia riconoscere che il Nuovo Ordo della liturgia latina, dopo il concilio Vaticano II, ha decisamente ripreso l’azione dello Spirito Santo, in un’epiclesi che inizia prima delle parole consacratorie – sui doni – e termina dopo di esse – sui fedeli.
Realmente, se lo Spirito Santo scende, personalmente, non solo sui doni, ma sui fedeli che partecipano alla sinassi eucaristica, significa che la Chiesa è unita con Cristo, che lo Spirito Santo si fa presente sui doni santificati e che la Chiesa è unita con lo Spirito Santo, inviato dal Padre con la partecipazione e la supplica di Gesù, sommo sacerdote. Quando il diacono versa acqua calda nel calice, lo Zeon, subito prima della comunione, esprime la presenza dello Spirito Santo, dicendo: «Fervore della fede, piena di Spirito Santo».
L’eucaristia, pertanto, è presenza reale del Figlio attraverso lo Spirito Santo, ma anche – in un certo modo – presenza dello Spirito attraverso il Figlio. La stessa κοινωνία di relazione delle tre sante Persone della Trinità, diviene comunione d’amore tra Dio, i doni e il pleroma della Chiesa.
Abbiamo già espresso l’indivisibilità dei momenti liturgici e l’impossibilità di isolare dal contesto liturgico il momento della μεταβολή, la trasmutazione per mezzo dello Spirito Santo, resta tuttavia interessante comprendere come il «cammino dello Spirito» avvenga nelle due principali anafore liturgiche della Chiesa d’Oriente, quella di san Giovanni Crisostomo e quella di san Basilio.
  • Il Canone eucaristico inizia con una benedizione trinitaria: «La grazia del Signore nostro Gesù Cristo, l’amore di Dio Padre e la comunione dello Spirito Santo sia con tutti voi».
  • L’epiclesi del Crisostomo: «Affinché per coloro che ne partecipano, divengano purificazione dell’anima, remissione dei peccati, comunione del tuo Santo Spirito, compimento del regno dei cieli, franchezza davanti a te e non giudizio o condanna.
  • L’epiclesi di san Basilio: «Riunisci l’un l’altro nella comunione dell’unico Spirito Santo noi tutti che partecipiamo all’unico Pane e all’unico Calice e fa’ che nessuno di noi partecipi al Santo Corpo e Sangue del tuo Cristo per suo giudizio o condanna».
  • La preghiera di preparazione alla comunione del Crisostomo: «Rendici degni di partecipare ai celesti e tremendi misteri di questa sacra e spirituale mensa con coscienza pura, per la remissione dei peccati, per il perdono delle trasgressioni, per la comunione dello Spirito Santo, per l’eredità del regno dei cieli…».
  • La preghiera di preparazione di san Basilio: «Insegnaci a conseguire la santità nel tuo timore… affinché… ci uniamo al Santo Corpo e Sangue del tuo Cristo e, accolti degnamente, possediamo il Cristo che abita nei nostri cuori e diventiamo tempio del tuo Santo Spirito».
  • …Chiedendo l’unità della fede e la comunione dello Spirito Santo…
  • «E rendici degni di partecipare senza condanna a questi tuoi immacolati e vivificanti misteri, per la remissione dei peccati e per la comunione dello Spirito Santo» (san Basilio).
  • «Abbiamo visto la vera luce, abbiamo ricevuto lo Spirito celeste, abbiamo trovato la fede vera…
L’eucaristia, come mistero della Pentecoste, ci fa «con-corporali e consanguinei di Cristo» secondo l’espressione di san Cirillo di Gerusalemme (Catechesi 22,3). Se, a Cana di Galilea, avviene un miracolo fisico, l’acqua diviene vino, nella sinassi eucaristica si compie il miracolo della fede della Chiesa, miracolo metafisico ed escatologico, dove consacrazione e comunione sono frutti della santificazione dei doni e dei fedeli per opera dello Spirito Santo. «Lo spirito e la Sposa dicono: vieni Signore! È il senso escatologico e parusiaco dell’epiclesi tesa verso le nozze mistiche di Cristo con la Chiesa, ma anche con ogni anima, personalmente, nominativamente», secondo Pavel Evdokimov. «Consumando la carne del Fidanzato e il suo sangue, entriamo nella κοινωνία nunziale»[8] (Teodoreto di Ciro).

Conclusioni

Abbiamo attraversato l’insegnamento delle sacre Scritture e l’esperienza dei grandi santi della Chiesa sulla presenza dello Spirito Santo quale vita, prima di Cristo, in Cristo e dopo Cristo, nella pienezza dell’amore trinitario, come comunione divina. Siamo divenuti tempio dello Spirito Santo con cuore puro e corpo santo.
Come possiamo pertanto vivere nello Spirito Santo, renderlo vivificante in noi? Con l’umiltà; con la misericordia priva di ogni vanità e compiacimento; con l’obbedienza alla voce di Dio che ci fa rendere grazie e ci pone di fronte ai nostri fratelli, soprattutto i poveri; con la preghiera sempre e ovunque, interiore ed esteriore, priva di ogni egoismo, cosicché la sua grazia dimori in noi e questo necessita di una grande lotta spirituale.
Per questo i santi Padri e gli asceti si sono fatti pervadere dalla preghiera del cuore, preghiera trinitaria per eccellenza: «Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio, abbi pietà di me peccatore». Con il digiuno materiale e spirituale; con la lettura, conoscenza e attualizzazione nella nostra vita sulla parola di Dio; con la partecipazione ai sacri misteri della Chiesa, per divenire veramente tempio e dimora del vero Dio nella Trinità; e certamente con la divina eucaristia, centro della vita di Dio nell’uomo.
Grazie per la vostra attenzione e pazienza.
[1] P. Evdokimov , La donna e la salvezza del mondo.[2] Apolitikion di Pentecoste.
[3] S. Bulgakov, Il Paraclito.
[4] G. Florovskij, The Universal Church in God’s design. 1948.
[5] I. Karmisris, Orthodoxos Ekklesiologia.
[6] P. Evdokinov – L’Ortodossia
[7] J. Zizioulas – Eucarestia e Regno di Dio
[8]Teodoreto di Ciro, Eucarestia e Cantico dei Cantici.