di:
Lorenzo Prezzi
La propagazione tellurica
provocata dal riconoscimento di autocefalia alla Chiesa ortodossa
ucraina da parte di Costantinopoli (cf. SettimanaNews: L’Ortodossia, Ucraina e Parigi)
e dal conflitto fra il patriarca di Mosca e quello del Fanar
(Costantinopoli) ha messo in fibrillazione i luoghi di frizione fra le
comunità, anche al di là del confronto fra i due patriarcati.
È il caso della Georgia e delle aree di
conflitto dell’Ossezia e dell’Abcazia con la conseguente tensione fra
Chiesa georgiana e Chiesa russa, come anche in Moldavia in cui i
riferimenti tradizionali delle comunità ortodosse locali sono il
patriarca di Bucarest (Romania) e quello di Mosca. Tensione rinnovata
dalle pretese delle nuova Chiesa autocefala ucraina sulle comunità
tradizionalmente legate alla Chiesa filo-russa. Così anche
nell’ex-Iugoslavia, nelle aree del Montenegro e della Macedonia del Nord
rispetto alla Chiesa serba.
In merito, ne scrive J.-A. Dérens su Courrier des Balkans (ripreso dal blog Religioscope): «Balkan: les Eglises orthodoxes ressent l’onde de choc de l’affaire ukranienne».
Montenegro
A maggio del 2019 il parlamento
montenegrino adotta una nuova legge sulla libertà religiosa che da un
lato pone una seria ipoteca sui beni delle Chiese e dall’altro
privilegia come riferimento la «Chiesa ortodossa montenegrina», una
comunità minoritaria non riconosciuta dalle Chiese storiche
dell’ortodossia e considerata scismatica da parte della Chiesa ortodossa
serba.
Si
apre un ennesimo conflitto fra il presidente della repubblica, Milo
Dukanović e il vescovo di Cetinje, l’ortodosso serbo Anfiloco, capo
riconosciuto dei 450.000 ortodossi (su 620.000 abitanti).
In una lettera al presidente il
metropolita (28 giugno 2019) egli difende le ragioni storiche,
spirituali e culturali della presenza ortodossa di riferimento serbo,
esclude un qualsiasi riconoscimento autocefalo da parte di Bartolomeo di
Costantinopoli alla Chiesa «scismatica» e accusa il presidente di
proseguire la persecuzione anticristiana dei suoi predecessori
ateo-marxisti.
Esprime una posizione che unisce
l’indipendenza nazionale con la comunione con la Chiesa serba: «La
Chiesa non sarà la serva del Montenegro, né della Serbia, né del
serbismo, né del montenegrismo, né di qualunque altra ideologia o di
qualunque progetto di infeudamento statuale. Non sarebbe più chiesa».
Chiede al presidente un dialogo con tutte le Chiese e religioni per un
«atto legislativo utile a tutti i cittadini montenegrini, senza
distinzioni».
A sostegno di Anfiloco si esprime il
sinodo della Chiesa russa, denunciando la volontà di Dukanović di farsi
una chiesa nazionale autocefala. Ma anche il patriarca del Fanar
riconosce come unica giurisdizione ortodossa canonica la comunità del
metropolita Anfiloco. La chiesa del Montenegro non è mai stata
autocefala, e «la sedicente Chiesa ortodossa del Montenegro, sotto
l’obbedienza di Miras Dedeić, non appartiene alla Chiesa ortodossa».
Anfiloco e Dukanović non sono sempre
stati in polemica. Nel 2006, nel referendum sull’indipendenza, la
neutralità della chiesa ha giovato alla vittoria di stretta misura della
dichiarazione di indipendenza. Anche dieci anni prima, nel 1996,
Anfiloco aveva sostenuto Dukanović contro il filo-serbo Momir Bulatović.
La stessa Chiesa serba lo giudicava positivamente, sostenendo la
posizione di Anfiloco: una fede ortodossa serba nella nazionalità
montenegrina.
Lo spauracchio dell’autocefalia potrebbe
paradossalmente favorire il riconoscimento dell’autonomia della Chiesa
filo-serba del Montenegro da parte della Chiesa serbo-ortodossa. Ma
serve anche alla politica montenegrina per una maggiore autonomia di
azione, come, ad esempio, l’avvenuto riconoscimento del Kosovo come
stato indipendente.
Macedonia del Nord
Proprio sul Kosovo si consuma un duro
scontro fra il potere politico serbo rispetto alla Chiesa serba. Il
presidente della repubblica Aleksandar Vučić mira ad ottenere la
neutralità della Chiesa rispetto al compromesso territoriale che
porrebbe fine alla guerra col Kosovo.
Una ridefinizione delle frontiere che
costringerebbe alla migrazione le enclave serbe nel Kosovo e che
priverebbe la Chiesa serba dei suoi luoghi storici di riferimento come
il monastero di Visoki Dečani o la sede patriarcale di Peć. Per questo
Vučić è intervento nel maggio scorso al sinodo dei vescovi serbi,
censurando i vescovi più esposti nel rifiuto, promettendo larghe
sovvenzioni all’attività ecclesiale e spaccando ulteriormente
l’episcopato.
Più plausibile suonerebbe la richiesta
di autocefalia della Chiesa ortodossa della Macedonia del Nord. Stato
indipendente dal 1991, nel paese l’ortodossia è largamente maggioritaria
(65%) e si raccoglie attorno alla sede episcopale di Ohrid.
Creata in vitro dai poteri
comunisti nel 1967 per consolidare l’identità nazionale degli slavi
macedoni e indebolire la Chiesa nazionale, si è proclamata autocefala ed
è considerata scismatica dalla Chiesa serba. Raccoglie 1.200 chiese e
10 eparchie (diocesi). Elemento determinante per la costruzione dello
stato la Chiesa è solidamente ancorata alla popolazione e strettamente
unita alle autorità dello stato. I tentativi di bulgari e russi di
superare lo scisma sono andati a vuoto. A vuoto anche il compromesso
propiziato da Bartolomeo.
L’accordo concluso a Niš nel 2002
prevedeva per la Chiesa locale non l’autocefalia, ma uno statuto di
autonomia e il legame tradizionale con la Chiesa serba. La conclusione
dell’annoso conflitto con la Grecia sul nome dello stato fissato il 12
febbraio del 2019 in «Macedonia del Nord» e la liberazione da parte
dello stato del vescovo Giovanni, l’unico ad accettare l’accordo di Niš,
favorirà non tanto l’autocefalia, a cui si opporrebbero quasi tutte le
Chiese ortodosse storiche, quanto una autonomia, non solo riconosciuta
dalla Chiesa serba e dalle Chiese ortodosse, ma sostenuta dal potere
statale che ha risolto i contenziosi con la Bulgaria e che guarda
positivamente alla conclusione della tensione ecclesiale.