Grandemente atteso, si è svolto
infine a Creta il “Santo e Grande Concilio” che, su quattordici Chiese
ortodosse, ne ha viste presenti dieci (assenti la Chiesa russa e altre
tre). Approvati sei documenti, un’enciclica e un messaggio che
evidenziano luci e difficoltà dell’Ortodossia oggi. L’irrisolto rapporto
con la modernità.
Dopo quasi mille anni vuoti
di un simile evento, e dopo oltre cinque decenni di preparazione
prossima, finalmente dieci delle quattordici Chiese autocefale – mancavano
infatti quattro patriarcati, e tra essi quello di Mosca, al quale
appartiene il 60% dei duecento milioni di ortodossi sparsi nel mondo
– hanno celebrato a Creta (19-26 giugno) il “Santo e grande Concilio
della Chiesa ortodossa”, che si è concluso con l’approvazione dei sei
documenti già da tempo nella sostanza predisposti, e con la
pubblicazione di una enciclica, e di un più corto messaggio, che
riassumono il lavoro compiuto e prospettano il futuro in un secolo, il
XXI, che secondo Bartolomeo I (patriarca di Costantinopoli e “primus
inter pares” tra i gerarchi delle Chiese sorelle) potrebbe e dovrebbe
essere il “secolo dell’Ortodossia”.
Lunga incubazione, contrastata celebrazione
Dopo il reciproco scisma
tra Roma e Costantinopoli del 1054, l’Ortodossia aveva celebrato diversi
Concili – in particolare nei secoli XIV e XVII – ma parziali, in quanto
a nessuno di essi avevano preso parte tutte le sue Chiese [vedi Confronti 6/2016] . Poi, nel 1961, a Rodi, era stata lanciata l’idea di un Concilio pan-ortodosso. Dopo
decenni di discussioni, infine, nella “sinassi”, la riunione dei
primati di tutte le Chiese autocefale, svoltasi nel marzo 2014 al Fanar –
la residenza, a Istanbul, del patriarcato ecumenico – si era stabilito
che il “Santo e Grande Concilio della Chiesa ortodossa” si sarebbe
svolto in quella città, nel 2016, a Pentecoste (che, nel calendario
giuliano, quest’anno cadeva il 19 giugno). La “sinassi” aveva anche stabilito: ogni Chiesa avrebbe avuto un solo voto; tutte le decisioni si sarebbero prese per consenso unanime; ogni Chiesa avrebbe inviato, oltre al suo primate, al massimo ventiquattro vescovi.
Le Chiese autocefale, che reciprocamente si riconoscono tali, oggi sono quattordici:
patriarcato ecumenico, e patriarcati di Alessandria, di Antiochia, di
Gerusalemme; e poi le Chiese di Russia, di Serbia, di Romania, di
Bulgaria, di Georgia, di Cipro, di Grecia, di Polonia, di Albania, delle
terre ceche e di Slovacchia: tutte “indipendenti”, ma unite dalla
stessa fede, legate ai primi sette Concili ecumenici (il primo, Nicea I,
del 325; l’ultimo, Nicea II, del 787) e fondate sullo stesso
ordinamento canonico, costituiscono l’Ortodossia.
Nel gennaio 2016, a
Chambésy (Ginevra), la “sinassi” aveva preso gli ultimi accordi e, in
particolare, aveva spostato il luogo del Concilio da Istanbul a Creta –
territorio greco ma, ecclesiasticamente, legato al patriarcato
ecumenico. Questa variante si era imposta dopo che il presidente Putin
aveva proibito ai russi di recarsi in Turchia (il 24 novembre 2015 i
turchi avevano abbattuto un caccia russo sostenendo che volava
abusivamente nel loro spazio aereo; una tesi sempre respinta dal
Cremlino). Ma poi, ormai nell’imminenza dell’apertura del Concilio, alcuni patriarcati avevano sollevato obiezioni di fondo sui testi da discutere:
il georgiano su quello sugli impedimenti matrimoniali, il bulgaro su
quello sui rapporti Ortodossia-mondo cristiano; l’antiocheno, che
risiede a Damasco, rifiutava di sedersi in Concilio con i vescovi del
patriarcato di Gerusalemme, a causa della pretesa di questo di avere
giurisdizione sul Qatar (nell’emirato vivono migliaia di lavoratori di
religione ortodossa). Infine, i tre avevano detto “no”. In tale
contesto, il patriarcato di Mosca aveva chiesto a Bartolomeo di
convocare, per venerdì 10 giugno, una “sinassi”, per “differire”
l’apertura del Concilio. Proposta ignorata, impraticabile anche per le
ingenti spese già sostenute per la preparazione e la traduzione di ogni
testo in quattro lingue – greco, russo, francese, inglese e alcuni
documenti anche in arabo (l’intero Concilio è poi costato 2,5 milioni di
euro).
Il Santo Sinodo, ristretto organo amministrativo del patriarcato russo, il 13 decideva di disertare il Concilio.
Bartolomeo e altri nove primati (anche quello di Serbia, Irinej, che
dapprima pareva orientato al “no”) decidevano di proseguire: tra il 16 e
il 18 vi erano a Creta incontri preparatori e domenica 19, ad Heraklion
– la “capitale” dell’isola – vi era l’apertura ufficiale del Concilio
che poi, dal 20 al 25, avrebbe svolto le sue sessioni all’Accademia
ortodossa di Kolymbari, ridente villaggio sul mare a 40 km da Chania, in
Creta occidentale, dove il 26 l’Assemblea avrebbe terminato i suoi
lavori con una solenne liturgia.
Quando, come e perché Mosca disse “niet”
Il 9 marzo 2014, allorché
si concluse la “sinassi” che aveva deciso il Concilio nel 2016, un
ortodosso greco, al Fanar, mi aveva gelato: «Aspettiamo, prima di
gioire, di vedere davvero Mosca partecipare». La Chiesa russa è “figlia”
di Costantinopoli, tramite la Rus’ di Kiev convertita dai bizantini nel
988. Dopo che il 29 maggio 1453 i turchi ottomani conquistarono
Costantinopoli – la “seconda Roma” – si rafforzerà il mito di Mosca
“terza Roma”, cioè colonna incrollabile dell’Ortodossia. Nel 1589 il
patriarcato dell’antica Bisanzio consente che il metropolita di Mosca,
Job, diventi patriarca… Tralasciando i quattro secoli, spesso tragici,
di mezzo, veniamo ai nostri giorni.
A Bartolomeo non
dispiacerebbe la nascita di una Chiesa autocefala ucraina: ipotesi
inaccettabile per la Chiesa russa che da là ha quasi la metà del suo
clero. Anche su altre questioni – come la giurisdizione sull’Estonia o
sugli ortodossi negli Usa – le due Parti sono in disaccordo. Infine,
pesa il fatto che Bartolomeo in Turchia abbia meno di cinquemila fedeli,
mentre Kirill ne vanta milioni in patria.
Vi è poi una questione
geopolitica e simbolica: «A determinare il “no” di Kirill è stato Putin
perché – così ragiona con me a Kolymbari l’esponente di un patriarcato
mediorientale – il capo del Cremlino era deciso a impedire a Bartolomeo,
“il turco”, la gloria di celebrare un Concilio pan-ortodosso. Dunque,
l’ipotesi andava demolita facendo mancare, a Creta, la Chiesa russa.
Questa, di conseguenza, ha “suggerito” ai patriarcati di Antiochia,
Bulgaria e Georgia di dire niet (no), per poi giustificare anche
il proprio rifiuto. Putin per presentarsi come un nuovo Costantino,
protettore dell’Ortodossia, e Kirill per dimostrare che, oggi,
Ortodossia=Russia, vogliono che il futuro e davvero “pan-ortodosso”
Concilio si svolga a Mosca».
Mi dice padre John
Chryssavgis, portavoce del patriarcato di Costantinopoli: «Nella
“sinassi” del marzo 2014 Bartolomeo chiese a ciascuno dei patriarchi un
“sì” alla celebrazione del Concilio. Kirill rispose: “Sì, se non ci sono
contrattempi”».
Dopo il “niet”
annunciato, il patriarca russo il 17 giugno 2016 ha inviato una lettera a
Bartolomeo, agli altri primati, e ai vescovi convenuti a Creta: «È
mia profonda convinzione che le Chiese, sia quelle che hanno deciso di
andare a Creta che le altre, hanno preso le loro decisioni in buona
coscienza, e perciò dobbiamo rispettare la posizione di ciascuna di
esse. La decisione della Chiesa di Antiochia di non venire al Concilio
significa che non abbiamo raggiunto un consenso pan-ortodosso… Ritengo
che se vi è buona volontà l’incontro di Creta può divenire un importante
passo per superare le attuali divergenze. E ciò può dare il suo
contributo alla preparazione del Santo e Grande Concilio che unirà senza
eccezione tutte le Chiese locali autocefale». Parole come pietre.
Voglia di Concilio. «L’Ortodossia è la Chiesa del Credo»
In questo clima il Concilio è iniziato: giorno dopo giorno sono stati approvati
i sei documenti, poi firmati dai 164 “padri” (erano presenti anche una
sessantina di “consiglieri”, tra cui cinque donne): la missione della
Chiesa ortodossa nel mondo attuale, la diaspora ortodossa, l’autonomia
di una Chiesa e il modo di proclamarla, il sacramento del matrimonio e i
suoi impedimenti, il digiuno, le relazioni della Chiesa ortodossa con
il resto del mondo cristiano. Particolarmente su quest’ultimo testo
la discussione, il 24 e il 25 giugno, è stata accalorata, e il Concilio
rischiava di fallire. Alcuni “padri” greci, infatti, volevano denominare
“gruppi”, ma non “Chiese”, le Confessioni cristiane occidentali: una
tesi estremista che, infine, è rientrata. Sono stati anche approvati
un’enciclica e un messaggio, dei quali diamo qualche flash.
* «La Chiesa ortodossa,
fedele alla unanime Tradizione apostolica ed esperienza sacramentale,
costituisce l’autentica continuazione della Chiesa Una, Santa, Cattolica
e Apostolica, come viene confessato dal Simbolo di fede e come è
attestato dall’insegnamento dei Padri della Chiesa… Perciò la Chiesa
ortodossa ha sempre attribuito grande importanza al dialogo [non si
parla mai di “ecumenismo”], e in particolare a quello con i cristiani
non ortodossi. I dialoghi multilaterali intrapresi dalla Chiesa
ortodossa non hanno mai significato e non significano, né giammai
significheranno, un qualsivoglia compromesso su questioni di fede».
* L’Ortodossia è vicina a
chi soffre, ai profughi, ai cristiani perseguitati, soprattutto in Medio
Oriente. Essa si oppone al fondamentalismo; rispetta la laicità; si
impegna per l’ecologia.
* «La Chiesa ortodossa considera il legame d’amore indissolubile di un uomo e una donna “mistero grande [...] in Cristo e nella Chiesa” [Efesini 5,
32]… L’attuale crisi del matrimonio e della famiglia sono una
conseguenza della crisi della libertà, come responsabilità, di una sua
riduzione ad una edonistica auto-realizzazione, di una sua
identificazione con una auto-gratificazione individuale,
auto-sufficienza e autonomia».
* «Un elemento fondamentale
dell’ideologia della secolarizzazione è sempre stato e continua ad
essere fino ad oggi la piena autonomia dell’uomo da Cristo e dalla
influenza spirituale della Chiesa, attraverso la identificazione
arbitraria della Chiesa con il conservatorismo e come anche attraverso
la sua caratterizzazione antistorica come presunto ostacolo a ogni
progresso e sviluppo… La Chiesa ortodossa davanti al contemporaneo
“uomo-dio” afferma il “Dio-Uomo” come misura ultima di tutte le cose».
Nei testi vi sono
interessanti squarci di teologia ortodossa, sui quali le Chiese
occidentali dovranno misurarsi. Anche l’Ortodossia, però, dovrebbe
ascoltare obiezioni e prospettive altre, passando nel crogiuolo doloroso
e liberante di qualcosa di simile all’Illuminismo europeo e affrontando la modernità
(un dettaglio significativo: il Concilio ha totalmente ignorato una
lettera – «Ci siamo anche nelle vostre Chiese!» – inviatagli dal gruppo
ortodosso di lavoro del Forum europeo dei gruppi cristiani Lgbt).
Mi ha detto il metropolita
Alexandros di Nigeria, del patriarcato di Alessandria: «Noi ortodossi
dovremmo contrastare l’idolatria del tradizionalismo».
Testi a parte, il
Concilio di Creta – pur dimezzato e perciò ferito al cuore nella sua
autorevolezza – è stato comunque importante per l’evento in sé. Le
Chiese ortodosse che, nei secoli passati, soprattutto per contrasti
politici tra gli Imperi (ottomano, russo, austro-ungarico) e poi gli
stati, quali l’Urss, in cui si trovavano, non riuscirono a fare
un’Assemblea da tutte partecipata, ora hanno iniziato a ri-prendere
gusto per i Concili e per una sinodalità condivisa. A Creta, infatti,
hanno deciso di riunirsi a Concilio ogni sette/dieci anni. Pesa, certo,
sull’evento cretese, la battaglia per la sua qualificazione e sulle
responsabilità della sua amputazione. Bartolomeo, che ha svolto con
determinazione il suo ruolo di “primus inter pares”, seppure abbia
fallito con Mosca, concludendo a Chania l’Assemblea, ha osato definire
“pan-ortodosso” il Concilio e, ignorando la lettera di Kirill, non ha
detto nemmeno una parola sui patriarcati del “no”. Un silenzio
imbarazzante, perché i quattro assenti rappresentano, insieme, il 70 per
cento degli ortodossi del mondo. È ben ovvio – sia detto tra
parentesi – che un permanente contrasto su presenza/assenza al Concilio
cretese renderebbe più arduo l’ecumenismo di papa Francesco verso
l’Ortodossia.
Adesso molto dipenderà
dalla recezione – soprattutto tra la loro gente – che le Chiese,
dieci+quattro, faranno dei documenti approvati e dell’evento Concilio.
Finirà tutto in tono minore, con schermaglie implacabili tra il Bosforo e
la Moscova, o soffierà lo Spirito santo spesso invocato nella
Pentecoste greca, e si avvierà una feconda primavera? Bartolomeo si è
detto ottimista, come mostrano le ultime parole della sua omelia nella
cattedrale dei santi Pietro e Paolo a Chania: «Se il XXI secolo può e
deve essere il “secolo dell’Ortodossia”, il Santo e Grande Concilio
della Santissima Chiesa ha posto un pilastro per il compimento di questa
divina visione».
(pubblicato su Confronti di luglio-agosto 2016)