di:
Dimitrios Keramidas
«Habemus autocefalia!» possono finalmente esclamare gli ucraini ortodossi dopo la consegna del relativo Tomos
per mano del patriarca ecumenico, Bartolomeo, al 39nne Epifanio, eletto
primate della neonata Chiesa dal «concilio di unità» tenutosi a Kiev il
15 dicembre scorso. La solenne cerimonia ha avuto luogo lo scorso 6
gennaio, festa della Teofania per gli ortodossi che seguono il calendario gregoriano.
Bartolomeo ed Epifanio, in presenza del
presidente ucraino Porošenko, hanno celebrato il rito della benedizione
delle acque, che ricorda il battesimo di Gesù nel fiume Giordano, sulle
rive delBosforo, a pochi metri dalla sede del patriarcato ecumenico a
Fanar.
Sanare un problema pastorale
In tale celebrazione liturgica qualcuno
potrebbe vedere in Bartolomeo il nuovo Battista che ha immerso la Chiesa
ucraina nelle acque dell’indipendenza ecclesiastica. Bartolomeo ha
esortato Epifano a impegnarsi a favore dell’unità e della pace «sul
piano locale, con i fratelli vescovi in Ucraina» ma anche «con i
fratelli vescovi che sono rimasti sotto l’omoforion del
beatissimo fratello patriarca di Mosca» e far sì che la nuova Chiesa sia
un esempio di «saggia gestione amministrativa» per ricondurre tutti
all’unità ecclesiastica. Con l’istituzione della nuova Chiesa – ha detto
il patriarca – sono stati creati i «presupposti della riconciliazione».
Di qui il suo auspicio che Epifanio operi «sulla base di criteri
ecclesiologici» e amministri il suo gregge «amorevolmente, in umiltà e
abnegazione».
Il conferimento del Tomos non
sarebbe, quindi, da concepire come una dimostrazione di potere da parte
di Costantinopoli o di Kiev, ma come un invito ad applicare lo spirito
di amore e di sacrificio per sanare un problema pastorale – la divisione
degli ortodossi in Ucraina.
Il Tomos, che riporta le firme
di Bartolomeo e degli altri membri del sinodo permanente del patriarcato
ecumenico, rammenta che i criteri per il conferimento dell’autocefalia
sono stati: la relativa richiesta (le cui origini risalgono a trent’anni
fa) delle autorità civili, ecclesiastiche nonché del popolo ucraino; i
legami storico-canonici della Metropolia di Kiev con la Chiesa di
Costantinopoli; il diritto di quest’ultima di agire laddove nel mondo
ortodosso si verificano «prolungati scismi e separazioni».
Le altre Chiese ortodosse
La missione, però, di recuperare l’unità
dove finora è prevalsa la divisione non sarà facile da realizzare e
lungi da poter essere descritta in toni romantici: ben note sono le
opposizioni del patriarcato di Mosca, che ha interrotto la comunione
eucaristica con Costantinopoli e ha istituito nuove Esarchie per i
fedeli russi in Europa occidentale e in Asia, vale a dire nei territori
della diaspora, di cui il patriarcato ecumenico rivendica l’esclusiva
gestione (oppure l’amministrazione collegiale, conservando però per sé
una posizione primaria).
Si creerebbero così gli estremi per uno
scisma qualora venissero consolidate gerarchie parallele nello stesso
territorio senza nessuna comunione canonica tra loro. Il resto delle
Chiese ortodosse, al momento, preferisce guadagnare tempo per riflettere
sulla situazione creatasi (Grecia, Georgia) oppure ha comunicato la non
recezione del Tomos (è il caso dei patriarcati di Serbia,
Antiochia, delle Chiese di Polonia e della Cechia-Slovacchia). C’è chi,
invece, come l’arcivescovo di Cipro, ha annunciato la sua intenzione di
concelebrare «presto» con il nuovo primate ucraino.
Non bisogna, tuttavia, interpretare tale
spartizione come uno schieramento in diversi blocchi ecclesiastici tra
loro contrapposti. Nella prassi ortodossa essere autocefali non
significa in alcun caso contestare gli altri né provocare nuove
scissioni nel corpo ecclesiale. In altre parole, l’autocefalia non può
essere esercitata in modo che conduca o giustifichi l’isolamento
ecclesiastico, ma in una maniera che stimoli l’inserimento di una
comunità di fedeli nell’unica Chiesa di Cristo. L’autocefalia è un dono –
il diritto di una Chiesa di esistere con mezzi propri – ma, al tempo
stesso, un impegno – la costruzione della comunione con gli altri. Il Tomos
prescrive, infatti, precisamente che la Chiesa ucraina deve osservare
la fede, l’unità e la comunione canonica sia con la Chiesa-madre, il
patriarcato ecumenico, sia con tutte le altre Chiese ortodosse sorelle
(e viceversa).
Il metropolita di Kiev deve commemorare
nelle celebrazioni liturgiche i patriarchi e primati delle altre Chiese
ortodosse affinché l’unità spirituale, la contiguità e il legame di
amore tra le Chiese non venga meno.
Inoltre, a proposito di importanti
questioni dottrinali, canoniche e di «altro» tipo (seppur non meglio
specificato), la Chiesa ucraina ha l’«obbligo» di partecipare alle
conferenze interortodosse, secondo la consuetudine conciliare stabilita
dai Padri della Chiesa.
L’autorità di Costantinopoli
Intanto, il Tomos ricorda in
modo particolare la «responsabilità canonica» (canoni 9 e 17 del IV
concilio ecumenico) del patriarca ecumenico di ricevere appelli dai
vescovi e dai sacerdoti delle altre Chiese – compresa quella ucraina. In
più, in merito ad argomenti «maggiori» di natura ecclesiastica,
dogmatica e canonica, il metropolita di Kiev «deve» (oppure: ha la
delibera di) rivolgersi al patriarcato ecumenico per ottenere la sua
opinione valida e un supporto decisivo.
Nella redazione del Tomos vi è
chiaramente il desiderio di preservare l’unità dell’Ortodossia nella
fede e nella comunione sacramentale, ma anche la volontà di custodire i
diritti particolari della Chiesa-madre di Costantinopoli sulla
Chiesa-figlia di Kiev e sul resto del mondo ortodosso. Non a caso, il
testo stabilisce che «la Chiesa Autocefala in Ucraina, come gli altri Patriarchi e Primati, riconosce come capo (in greco: κεφαλὴν)
il Santissimo Trono Apostolico e Patriarcale Ecumenico». Al tempo
stesso, gli ucraini della diaspora rimarranno sotto la cura pastorale
delle strutture ecclesiastiche appartenenti a Costantinopoli.
Forse la ragione per queste
disposizioni, che a una prima lettura potrebbero apparire autoritarie,
va ricercata nella consapevolezza che un’unità sinodale di tipo federale
può rivelarsi fragile se non acconsente esplicitamente alla necessità
di un primo tra le Chiese con prerogative che garantiscano un
servizio di unità e di prevenzione di situazioni di frantumazione e di
divisione più o meno estese.
La sfida, quindi, per il giovane primate
Epifanio sarà quella di agire con un autentico spirito evangelico,
costruendo una nuova mentalità di riconciliazione che superi quella di
una generazione di ecclesiastici cresciuta con i rancori della
separazione, limitando possibilmente le interferenze politiche nel solo
piano protocollare e nel rispetto delle altre strutture che tuttora non
hanno aderito alla nuova Chiesa.
L’«isapostolo» principe Vladimiro e la «santa e gloriosa» regina Olga, menzionati nel Tomos,
sono figli delle vicende del X sec.; il XXI appartiene, invece, ai
cristiani che desiderano la solidità del Vangelo del Signore in un mondo
fragile e sottoposto a diversi mali che destabilizzano il valore della
persona umana – greca, ucraina, russa che sia.