Exclusive for Panorthodox Synod
Eminenze,
Eccellenze,
Reverendissimi Padri,
Illustri Ospiti,
Fratelli e Sorelle amati nel Signore,
Fratelli e Sorelle amati nel Signore,
La
commemorazione di un anniversario presuppone sempre di valutare alcuni aspetti
che determinano un tale avvenimento. Principalmente si esaminano le motivazioni
che hanno indotto il momento, i protagonisti che sono stati coinvolti, e le
conseguenze di una tale azione, per la quale si parla di anniversario e di
commemorazione di un anniversario. Tanto maggiormente vale questo assioma nel
commemorare l'anniversario della visita di Papa Paolo VI in Turchia, e
specificatamente al Patriarcato Ecumenico, il 25 e 26 luglio 1967, e la
conseguente visita a Roma del Patriarca Athenagoras, il 26 e 27 Ottobre dello
stesso anno. Questo arco di tempo, cinquanta anni, sembra assai breve se
rapportato a Duemila anni di storia Cristiana, pur tuttavia questo mezzo secolo
ha portato più buoni e cospicui frutti al Cristianesimo e soprattutto alle
Chiesa d'Oriente e d'Occidente, di quanto ne abbia potuto donare il Millennio
da poco conclusosi.
Il
Prologo alla visita.
Tre
anno orsono, la nostra Modestia, unitamente al Santissimo Fratello della Antica
Roma, Papa Francesco, seguendo le orme dei nostri illustri Predecessori, Papa
Paolo VI e il Patriarca Ecumenico Athenagoras, abbiamo avuto la gioia di
festeggiare il grande incontro di Gerusalemme del 1964, di riunirci davanti al
Sepolcro del Salvatore e rinnovare il nostro comune impegno di fedeltà al Vangelo nel condurre il Corpo
della Chiesa alla sua unità visibile. E' stato un momento solenne, vissuto con grande
partecipazione dalle nostre Chiese, ma per noi anche un atto quasi scontato
nella sua spontaneità. Siamo
infatti creditori di un cinquantennio di incontri reciproci, di visite, di
collaborazione, di un clima di fraternità nuovo e soprattutto di un Dialogo Teologico che,
nonostante le difficoltà che
possono alle volte sorgere, - prosegue spedito sulla sua strada. E inoltre in
questo cammino oggi non siamo soli, ma siamo accompagnati da tutte le Sante
Chiese Ortodosse Autocefali locali e dall'insieme della Chiesa Cattolica
Romana. Eppure a quel tempo non era così. Certamente la Chiesa di Roma aveva
iniziato un cammino di rinnovamento, voluto da Papa Giovanni XXIII, con la
indizione del Concilio Vaticano II e che Papa Paolo VI stava cercando di
portare a termine. Anche in Oriente le celebri Encicliche del 1902, ad opera
del Patriarca Gioacchino III e del 1920, ad opera del Locum Tenens Patriarcale,
il Metropolita Doroteo di Brussa, avevano sollevato il problema delle relazioni
inter-cristiane, e il Patriarca Athenagoras con le Conferenze Pan-Ortodosse di
Rodi agli inizi degli anni Sessanta, sollecitava l'intera Ortodossia a
rinnovare se stessa sul piano del dialogo; pur tuttavia Oriente e Occidente
restavano ancora lontani, divisi, sospettosi, reduci di un millennio di
reciproche accuse di infedeltà, di mancanza di amore reciproco, di situazioni politiche differenti, e
anche nelle poche occasioni di incontro che si erano verificate, aveva prevalso
il sentimento di sfiducia, di egemonia, di diffamazione e di egoismo.
Ma
lo Spirito Santo non ha mai abbandonato la sua Chiesa, e nel momento opportuno,
come d'altra parte avviene in ogni epoca della storia ecclesiastica, Egli ha
visto degli uomini giusti, il cui cuore era veramente ripieno di amore, pieno
di Spirito Santo, e il seme del dialogo ha iniziato lentamente a germogliare
dopo un lungo inverno, nei primi tièpidi soli di una nuova primavera. Il Nunzio Angelo Roncalli, il futuro Papa
Giovanni XXIII, a Istanbul, seppur ammonito al tempo dalle Autorità Vaticane, visita ufficialmente il
Patriarca Ecumenico Basilio III, e alle volte anche in incognito, il quale non
manca di esprimergli il suo fermo desiderio di incontrare il Papa di Roma per
rispondere ad uno dei grandi bisogni dell'umanità: l'unione delle Chiese.
"...E' con questo spirito di fraternità e di ottimismo nei rapporti fra
di noi che ci porterà al
desiderato fine. L'amore, questo è il primo punto", dirà il Patriarca.
Ma i
tempi di Dio non sono i tempi degli uomini, ci sono voluti ancora molti anni,
affinché questo desiderio
diventasse realtà.
Quando il 4 dicembre 1963, Papa Paolo VI, alla chiusura della seconda sessione
del Concilio Vaticano II annunciava: "Tanto è viva in noi la
convinzione... di farci noi stessi pellegrini alla Terra di Gesù, nostro
Signore", emergeva anche un nuovo interesse ecumenico, emblematico della
nuova era di rapporti che si apriva. Il Patriarca Ecumenico Athenagoras, che già aveva sperato in un Grande
Concilio di tutte le Chiese, all'annuncio del Vaticano II, reagisce assai
positivamente a questo annuncio, qualificàndolo come "ispirato da Dio", e con un
comunicato ufficiale auspica che, "sarebbe veramente un'opera della
Provvidenza se, durante questo pio pellegrinaggio, tutti i capi delle Chiese
d'Oriente e d'Occidente potessero incontrarsi nella santa Città di Sion, per chiedere, in una
comune preghiera fervente... la via di un ristabilimento pieno della unità cristiana, secondo la santa
volontà del Signore".
Proposta inimmaginabile allora, e quindi impraticabile. Ma questi due grandi
padri della fede, Papa Paolo VI e il Patriarca Athenagoras, non possono più
fermarsi, c'è un desiderio così grande di cui loro sono attori consapevoli ed inconsapevoli
dell'opera del Signore.
I
Protagonisti degli Incontri
E'
il 5 gennaio 1964. Dopo alcuni incontri per la preparazione dell'evento, si
concretizza un sogno, o meglio, come ebbe a dire il Patriarca Athenagoras,
"un miracolo. Bisogna sempre contare sul miracolo". A Gerusalemme,
"Ci siamo abbracciati una volta, due volte e poi ancora, ancora. Come due
fratelli che si ritrovano dopo una lunghissima separazione".
I
due protagonisti non trovano una strada spianata al loro incontro, ma si
trovano a "scalare una montagna, la montagna del Signore", seconde le
parole rivolte a Papa Paolo VI dal metropolita Athenagoras di Thyateira durante
la preparazione dell'incontro. Prima del viaggio, il Patriarca aveva consultato
tutte le Chiese Ortodosse, che avevano approvato a fatica la sua iniziativa,
salvo il Patriarca di Antiochia che si era detto entusiasta, mentre la Chiesa
di Grecia fin dall'inizio si era dimostrata molto contraria. Il Patriarca
Alessio I di Mosca aveva accolto favorevolmente la iniziativa, pur
considerandola una azione propria del Patriarca Ecumenico e non vincolante per
la intera Ortodossia. Anche il Patriarca di Gerusalemme Benediktos chiese al
Patriarca di non pensare a qualche momento di preghiera comune, poiché proibito dai sacri canoni.
Papa
Paolo VI sorprese i Padri conciliari con la sua inaspettata decisione, pur
tuttavia, salvo poche eccezioni, essi manifestarono il loro entusiasmo. Ma la
sorpresa più grande era lo stravolgimento del rigido protocollo romano, che
prevedeva che il Papa dovesse trovarsi sempre in una posizione più alta
rispetto a qualsiasi altro ospite. Paolo VI rompe ogni orpèllo del passato e incontra nella
Delegazione Apostolica il Patriarca Athenagoras. E' un incontro ricco di significati,
di gesti, di calore cristiano. I doni reciproci manifestano il nuovo percorso
che sta per iniziare. Il Patriarca pone al collo del Papa un engolpion
episcopale e la folla grida "axios" . E' un riconoscimento di
appartenere alla stessa Successione Apostolica. Il Papa dona una calice,
promessa ed impegno di camminare assieme verso la comune mensa Eucaristica,
"giungere alla concelebrazione nel calice comune". Ma anche il
colloquio privato tra il Papa ed il Patriarca che, per un errore viene
registrato, è manifestazione che qualcosa è cambiato in queste due grandi
Figure della Cristianità.
C'è solo la
volontà di essere strumenti per
percorrere il cammino di Dio, per fare la sua volontà, per "servire".
"Nessuna questione di prestigio, di primato, che non sia quello...
stabilito da Cristo", dice il Papa. Non c'è ambizione di prevalere, di
avere gloria, vantaggi. Il Patriarca sottolinea: "Ci è stato fatto dono di
questo grande momento; noi perciò resteremo insieme. Cammineremo insieme".
E definisce Paolo VI come "il Papa dal grande cuore - o μεγαλόκαρδος."
Non
ci soffermiamo ulteriormente su questo incontro, poiché molto è già stato detto e scritto.
Sottolineiamo solamente, per evidenziare la grandezza di questi due
protagonisti, che l'incertezza dei primi inizi ha allo stesso tempo manifestato
la loro lungimiranza. Alla fine dei loro incontri, malgrado ogni impedimento,
pregarono e benedissero insieme e si tennero per mano con reciproca fiducia: un
gesto che ha cambiato i protocolli e che è diventato atteggiamento corrente e
scontato. Il comunicato comune finale è all'origine dei nuovi sviluppi che
andarono consolidandosi tra Cattolici ed Ortodossi.
Così,
dopo attenta preparazione tra le parti, si è giunti alla reciproca levata degli
anatemi del 1054, tra il Cardinale Umberto di Silva Candida ed il Patriarca
Michele Cerulario, anatemi che avevano pesato per un millennio nelle relazioni
tra Oriente e Occidente. Era il 7 dicembre 1965, festa di San Ambrogio di
Milano, ed il Tomos Agapis venne letto contemporaneamente a Costantinopoli e a
Roma, alla chiusura del Concilio Vaticano II, fatto che faceva dire al
Patriarca Athenagoras: "Io e papa Paolo abbiamo chiuso il Concilio
insieme". A buon motivo essi vennero definiti: "I Pacificatori".
Un
Papa al Fanar.
"E
ora cosa dobbiamo fare", aveva chiesto il Papa al Patriarca:
"Potenziare l'amicizia in Cristo, la carità vera non può non portare alla
verità", aveva risposto
Athenagoras. Il Patriarca avrebbe voluto recarsi subito a Roma, ma la sua
posizione all'interno dell'Ortodossia è diversa da quella del Papa all'interno
del Cattolicesimo. Nonostante le Conferenze di Rodi, le altre Chiese Ortodosse
non vedono di buon occhio questo rapporto privilegiato tra Roma e
Costantinopoli, tuttavia il nuovo corso in Grecia porta ad una apertura della
Chiesa di Grecia al dialogo con gli altri Cristiani. Il 3 luglio 1967 il
Patriarca Athenagoras annuncia la volontà di compiere un pellegrinaggio alle Chiese Ortodosse del
Nord e a quelle Cristiane dell'Ovest, ma lo stesso 15 luglio, Papa Paolo VI
annuncia di esser in partenza per la Turchia, a Istanbul, Efeso e Smirne, in
pellegrinaggio alla terra della prima missione apostolica e per omaggiare il
governo ed il popolo turco, custodi di quelle grandi memorie cristiane.
Incontrando poi il Patriarca Ecumenico per primo nella sua sede, il Papa
avrebbe dimostrato a coloro che vedevano una resa dell'Ortodossia al Papato,
che i tempi erano veramente cambiati. Nella lettera al Patriarca con cui si
annuncia il viaggio del Papa, Paolo VI stabilisce di "celebrare la memoria
del diciannovesimo centenario del martirio dei Santi Apostoli Pietro e
Paolo", con questo pellegrinaggio e di incontrare Athenagoras,
"animato dall'ardente desiderio di vedere realizzarsi la preghiera del
Signore: Che essi siano uno come lo siamo noi". Scrive ancora che
"dopo un lungo periodo di divisione e incomprensione reciproca, il
Signore, malgrado le difficoltà che nel passato sono sorte tra di noi, ci dà la possibilità di riscoprirci come Chiese
Sorelle" e sottolinea che, "nella vita delle nostre Chiese, la
comunione, sebbene imperfetta, già esiste". Athenagoras esclama: "E' giunta la sua
lettera. Non credevo ai miei occhi. L'ho letta e riletta. Quale grandezza di
animo e di mente!" Già nel messaggio Pasquale di quell'anno il Patriarca
Athenagoras aveva fatto trasparire la sua visione ecumenica, umile e santa,
come ogni suo atteggiamento e ogni sua parola: "I primi dieci secoli del
cristianesimo sono stati per i dogmi e per la organizzazione; nei dieci secoli
dopo vennero le disgrazie, gli scismi, la divisione. La terza epoca — questa -, è quella
dell'amore. Per questa via della carità ci incontriamo nello stesso calice. Beninteso —continuava -, abbiamo
bisogno dei teologi, ma le differenze sono troppo piccole e scolorite dal sole
dell'amore. Le differenze hanno perduto il loro colore grazie al sole della
carità. Nei primi mille anni
abbiamo vissuto nella Comunione, poi ci siamo separati". (Messaggio di
Pasqua 1967).
Papa
Paolo VI giunge a Istanbul il 25 luglio. Ad attenderlo a Yesilkòy ci sono il
Presidente della Repubblica Turca Cevdet Sunay, il Presidente del Consiglio
Siileyman Demirel, i componenti del Governo e altre Autorità, gli Ambasciatori, tra cui
l'Ambasciatore Sovietico, le Autorità Religiose Mussulmane, Ebraiche, Cristiane e Athenagoras
che abbraccia ripetutamente l'ospite. Non un galateo diplomatico e impersonale
tra i due, ma lo slancio affettuoso del ripetuto abbraccio. Prima della visita,
il Papa aveva fatto un significativo gesto verso la Turchia: aveva restituito
la bandiera Ottomana, catturata nella battaglia di Lepanto e da allora
conservata a Roma come trofeo. Dopo le visite ufficiali, gli incontri con le
Autorità Turche, la escursione sul
Bosforo, visita alcuni dei numerosi monumenti della antica Costantinopoli e
della ottomana Stambul, e quindi entra trepidante in Santa Sofia. La Grande
Chiesa lascia attònito il Papa, lì si era consumato il grande scisma il 16
luglio 1054, la intolleranza, l'insulto contro l'amore fraterno e la
insensibilità. Ed
Egli compie un gesto rimasto storico e che allo stesso tempo lascia sbalorditi
e allibiti tutti coloro che lo accompagnavano, creando non poco imbarazzo:
chiede dove si trovasse l'altare cristiano e inaspettatamente domanda il
permesso al Ministro Turco che lo accompagnava, di raccogliersi in preghiera.
Si è inginocchiato a pregare dove era e non c'è più l'altare. Dopo Santa Sofia,
Papa Paolo VI si trasferisce al Fanar, al Patriarcato Ecumenico, dove il
Patriarca Athenagoras, col suo Sinodo, lo sta attendendo trepidante ed
emozionato. Insieme i due uomini, uno accanto all'altro, tenendosi per mano,
fanno il loro ingresso nella Chiesa di San Giorgio, stretti da una folla
innumerèvole. Dopo nove secoli,
il nome del Papa di Roma risuona nella preghiera di Costantinopoli e la folla
grida "Axios". "Ancora preghiamo Signore, per il Santissimo Papa
di Roma Paolo e per il nostro Arcivescovo Athenagoras, affinché i loro passi seguano sempre il
cammino di ogni opera buona", a cui segue il Polychrònion, il canto augurale
per il Pontefice. E' veramente l'inizio di un nuovo cammino, l'alba di un nuovo
giorno che piano piano, nei tempi di Dio, cresce e dà frutti a tutto il Cristianesimo,
a tutta la umanità, con
pazienza, con prudenza, con calma, senza affrettarsi a cogliere i frutti prima
che siano maturi. Ma soprattutto non c'è più la intransigenza, il rifiuto
del dialogo. E' nata la amicizia, la rinnovata fraternità, il dialogo della carità. Nei rispettivi discorsi al
Fanar, i due uomini fanno riferimento all'obiettivo della concelebrazione del
comune calice di Cristo. "Pietro e Andrea, fratelli e apostoli, gioiscono
con noi - dice il Patriarca Athenagoras -, e la loro gioia è condivisa dai cori
degli antichi Padri dell'Occidente e dell'Oriente, del Nord e del Sud, resi perfetti
dalla testimonianza della fede comune della Chiesa indivisa, nell'azione
santificante della loro partecipazione alla stessa liturgia".
"Aspiriamo all'unità, alla completa comunione di carità e di fede, alla concelebrazione del comune calice di
Cristo". E il Papa risponde: "Questo desiderio ci ispira a fare tutto
ciò che è in nostro potere per avvicinare il giorno in cui la piena comunione
verrà ristabilita tra la Chiesa
d'Occidente e la Chiesa d'Oriente". E il Papa si spinge ancor oltre per
quei tempi: "In ogni Chiesa locale - diceva Paolo VI -, si opera il
mistero dell'amore divino, e non è forse questa la ragione della espressione
tradizionale e così bella secondo cui le Chiese locali amano chiamarsi Chiese
Sorelle?". Forse uno dei più importanti risultati di quell'incontro, è
stato il riconoscimento della ecclesiologia di comunione, ed i suoi concetti
fondamentali erano la comunità eucaristica e la Chiesa sorella. In questo modo si
tornava al linguaggio tradizionale della Chiesa: Giovanni XXIII si era
riscoperto Vescovo di Roma, come ancor oggi viene sottolineato da Papa
Francesco e Paolo VI si riscopriva Patriarca d'Occidente. Era anche il
linguaggio del Patriarca Athenagoras che amava parlare di Chiesa d'Oriente e
Chiesa d'Occidente e non di Ortodossi e Cattolici e riguardo al ruolo del
Vescovo di Roma, riprendendo San Ignazio di Antiochia, diceva: "Ed ecco,
che contro ogni aspettativa umana si trova tra noi il vescovo di Roma, il primo
in onore tra noi, colui che presiede nella carità". Quel tema, che viene
studiato ai nostri giorni e compreso alla luce della tradizione dell'Oriente e
dell'Occidente nel dialogo teologico tra le nostre Chiese, quel ruolo di
comunione e di presidenza nella carità ai vari livelli, che anche la lunga preparazione del Santo
e Grande Concilio della Chiesa Ortodossa ha elaborato e compreso, non nasconde
le sue difficoltà! E il
Patriarca pone sulle spalle del Papa, il proprio dono, una antica stola, mentre
il Papa dona una interpretazione contemporanea della Icona bizantina. Segue
l'incontro privato. Nella sua proverbiale saggezza il Patriarca accompagna per
mano l'Ospite negli allora umili locali
del Patriarcato e Paolo VI è meravigliato e affascinato allo stesso tempo:
"E' qui che vive Vostra Santità?" chiede al Patriarca.
Alla
sera dello stesso giorno il Patriarca rende visita al Papa nella Cattedrale
Cattolica del Santo Spirito. E si rinnovano gli abbracci, l'affettuoso amore di
fratelli ritrovati e nuovamente si prega: "Per Sua Santità il Papa Paolo VI e Sua Santità il Patriarca Ecumenico
Athenagoras, e per i pastori di tutte le comunioni cristiane, che siano fedeli
servitori del Vangelo di Cristo, preghiamo il Signore!". La preghiera e
l'amore sono i nuovi ingredienti di questo incontro. E' d'altra parte risaputo
che il Patriarca non contava troppo sulla teologia dei teologi, responsabili a
suo dire, in qualche modo, della rottura tra Oriente e Occidente. Entrambi sono
consapevoli però, che la unità dovrà fondarsi sulla roccia delle verità rivelate; non sentimentalismo, ma
una base teologica solida e sobria.
L'incontro
termina con la consegna del messaggio Anno Ineunte al Patriarca, un documento
che per la Chiesa Cattolica è un balzo in avanti nel dialogo ecumenico. La
“Anno Ineunte” ha una portata rivoluzionaria. Il Papa riconosce che le Chiese
Orientali sono vere Chiese, Sorelle, non soltanto fra loro, ma anche rispetto
alla Chiesa Cattolica; lo scisma, de facto, non ha intaccato la successione
apostolica dell'episcopato ortodosso e anzi, è missione della gerarchia condurre
i fedeli alla perfetta unione; quindi la unione tra Cattolici e Ortodossi è
cosa fatta, seppure incompiuta. Perché la comunione non è piena? Che cosa impedisce la
concelebrazione? Come affrontare quello che resta da fare?", scrive un
cronista del tempo.
Nel
giorno seguente, il Papa visita Smirne ed Efeso, lì dove Maria è stata
riconosciuta come Theotokos, e da lì invia un messaggio personale a tutti i
capi delle Chiese Ortodosse: "Abbiamo scambiato con Sua Santità il Patriarca Ecumenico Athenagoras
un santo bacio di pace. Anche a voi, cari fratelli in Cristo, desideriamo
esprimere la nostra stima e la nostra carità fraterna... nel rispetto dei
vostri usi e tradizioni legittime... dichiararvi la nostra volontà di far progredire il dialogo
nella verità
e nella
carità... per vedere...
l'avvento del giorno tanto desiderato in cui saremo tutti uniti nella
celebrazione dell'Eucarestia del nostro unico Signore". Ormai tutta
l'Ortodossia è coinvolta in questo nuovo processo, in questo inizio del dialogo
e del rispetto.
Tornato
a Roma, il Papa manifesta la gioia di"` giorni: "Ringraziamo il
Patriarca Athenagoras che più non poteva mostrarci Ia sua bontà personale ed il suo animo
religioso e fraterno, assai ben disposto alla ricomposizione della comunione
tra la Chiesa Ortodossa e la Chiesa Cattolica nella sua unità voluta da Cristo", e
conclude che "all'Oriente abbiamo voluto dare assicurazione che la fede
dei Concili, celebrati in quella terra benedetta e riconosciuti dalla Chiesa
Latina come ecumenici, è tuttora la nostra fede; essa costituisce una base
molto larga e molto solida per avviare studi intesi alla ricomposizione della
perfetta comunione cristiana.". Il Patriarca a sua volta è soddisfatto, lo
testimoniano le sue parole: "Chi si sarebbe aspettato che questo Papa
abolisse il protocollo? Vi sono delle concessioni che innàlzano coloro che le fanno.
Quest'atto fa di lui un grande esegèta del suo primato, così come esso era nella Chiesa primitiva".
Le
conseguenze dell'incontro.
La
iniziativa di Paolo VI, ha spianato al Patriarca Athenagoras la strada per
visitare la Antica Roma. Non vi sono significative opposizioni per questo
viaggio dalle altre Chiese Ortodosse, neppure da Atene o da Mosca e l'occasione
è offerta dalla convocazione del Sinodo dei vescovi cattolici in Vaticano nel
successivo ottobre.
Il
Patriarca Athenagoras aveva già visitato nel 1959 gli Antichi Patriarcati del Medio
Oriente, e nel 1963 la Chiesa di Grecia e il Monte Athos. Nell'autunno del 1967
avrebbe voluto recarsi a Mosca, ma l'Unione Sovietica celebrava il
cinquantenario della Rivoluzione e il Patriarca dovette rinviare il viaggio.
Resterà il suo sogno incompiuto,
sogno che sarà attuato
dal suo successore di beata memoria, il Patriarca Dimitrios, ma solo nel 1987.
Visiterà invece le Chiese dei
Balcani, Belgrado, Bucarest e Sofia, dove tra vari distinguo, ricevette
tuttavia l'approvazione per il suo viaggio a Roma. Egli avrebbe voluto essere
accompagnato dai Rappresentanti di tutte le Chiese Autocefale, ma i tempi non
erano ancora maturi. Visiterà anche la Comunione Anglicana e il Consiglio Mondiale
delle Chiese a Ginevra e da lì si recherà a Roma. Athenagoras, che chiamava affabilmente il Papa,
Paolo II, per la sua consonanza con l'Apostolo delle Genti, visterà San Pietro e le Basiliche Romane,
ribadendo il messaggio nuovo che si era delineato tra le due Chiese, ponendo al
centro di tutto la concelebrazione all'unico Corpo e Sangue del Signore e il
ruolo delle Chiese Sorelle. Essi sono considerati veramente i Pacificatori, così
come era scritto sulla fusoliera dell'aereo che portò il Patriarca a Roma:
"Paolo VI e Athenagoras I, i Pacificatori".
Dopo
l'entusiasmo iniziale, da entrambi le parti si è avuto un periodo di
decantazione, per assimilare le prime esperienze e passare alla nuova realtà senza sobbalzi. La Quarta
Conferenza Pan-Ortodossa a Chambés y nel 1968, conferma la volontà di proseguire nella preparazione sistematica del dialogo
teologico con la Chiesa Cattolico-Romana, che avrà il via ufficialmente, dopo lunga
preparazione, nel 1980 e che prosegue ai nostri giorni. Ma sono continuati e
rafforzati contatti a tutti ilivelli, dalle gerarchie al popolo di Dio. La
partecipazione di una delegazione delle rispettive Chiese per le feste
patronali di San Pietro e di San Andrea, a Roma e a Costantinopoli, sono ormai
una norma; la visita dei Papi al Patriarcato Ecumenico e dei Patriarchi a Roma,
altrettanto. Durante il nostro servizio Patriarcale abbiamo visitato molte
volte la Città Eterna,
e l'amicizia e la stima esistente tra la nostra Modestia e Papa Francesco,
riflettono l'amore vero che c'era tra Papa Paolo VI ed il Patriarca
Athenagoras. Certamente non tutto è ancora superato, ancora "scaliamo la
montagna", come i nostri illustri Predecessori, ma la via è una via senza
ritorno. Se a Gerusalemme vi è stato l'incontro, a Costantinopoli ci si è
riscoperti come Chiese Sorelle.
Quando
il Patriarca Athenagora torna a Istanbul dal suo pellegrinaggio durato
trentacinque giorni, affermò: "Il mio viaggio ha dato buoni risultati per
il movimento ecumenico. Nei Balcani, come in Italia, in Svizzera e in
Inghilterra sono stato colpito dal comune desiderio di tutti i popoli in favore
dell'unità delle Chiese".
Aggiungeva, che nel 1968 si sarebbe tenuto il grande Concilio Pan-Ortodosso a
Vienna.... Ma i tempi di Dio, ancora una volta, non sono i tempi degli uomini.
Passeranno ancora quarantotto anni per vedere il Santo e Grande Concilio della
Chiesa Ortodossa, che confermerà la volontà del dialogo inter-cristiano, perché il dialogo non priva di nulla, ma
solo arricchisce.
Un
acuto cronista del tempo, ha dedicato all'evento che commemoriamo e ai due
Pellegrini apostolici, una poesia di una poetessa tedesca, che desideriamo
riproporvi, concludendo: "Non dirmi benvenuto quando arrivo — non dirmi arrivederci
quando parto; - perché non
arrivo mai quando arrivo — perché non parto mai quando parto."
Grazie
della Vostra pazienza.