HYACINTHE DESTIVELLE, Osservatore Romano - 27-28 giugno 2016
Dopo una settimana di intenso lavoro all’Accademia ortodossa di Creta, il Santo e grande concilio della Chiesa ortodossa il 25 giugno ha concluso i suoi dibattiti. Smentendo le previsioni più pessimiste e superando, fino alla vigilia della sua apertura, innumerevoli ostacoli, l’assemblea conciliare non solo ha adottato i sei testi che figuravano all’ordine del giorno ma ha anche pubblicato un’enciclica e un importante «messaggio al popolo ortodosso e a tutte le persone di buona volontà».
Dopo una settimana di intenso lavoro all’Accademia ortodossa di Creta, il Santo e grande concilio della Chiesa ortodossa il 25 giugno ha concluso i suoi dibattiti. Smentendo le previsioni più pessimiste e superando, fino alla vigilia della sua apertura, innumerevoli ostacoli, l’assemblea conciliare non solo ha adottato i sei testi che figuravano all’ordine del giorno ma ha anche pubblicato un’enciclica e un importante «messaggio al popolo ortodosso e a tutte le persone di buona volontà».
Si conclude dunque la lunga prepa- razione preconciliare avviata dalle Chiese ortodosse dagli anni Sessanta. La Chiesa ortodossa dà così inizio a una nuova pagina della sua storia. No- nostante le tante assenze, al di là dei documenti adottati e al di là del conci- lio stesso, ha compiuto un passo molto importante nell’esercizio di una sinoda- lità finora certo professata ma non tan- to vissuta tra le Chiese ortodosse. Co- me il concilio stesso ha auspicato, è im- probabile che questo precedente non abbia un seguito. La sessione finale del 25 giugno è stata aperta, come la prima, agli osser- vatori e ai giornalisti. È stata fonda- mentalmente una sessione di ringrazia- menti, nel corso della quale il patriarca ecumenico ha potuto tirare un primo bilancio. Amareggiato per l’assenza di diverse Chiese e riconoscendo che «non è stato tutto facile» e che «il fat- tore umano è stato presente», Bartolo- meo si è comunque rallegrato della concordia raggiunta e del messaggio di unità dato. Prova ne è il fatto che, «no- nostante l’istituzione dell’auto cefalia, siamo una Chiesa indivisibile e godia- mo dell’unità nella nostra diversità e della diversità nella nostra unità». Ha così potuto concludere: «Abbiamo scritto insieme una pagina di storia, un nuovo capitolo nella storia contempora- nea delle nostre Chiese». L’arcivescovo di Costantinopoli si è poi rivolto agli osservatori, ringrazian- doli in particolare per la preghiera, il sostegno e l’interesse manifestati dalle loro rispettive Chiese. Andando un po’ oltre le parole dei testi adottati, ha sot- tolineato che il concilio «ha confermato l’importanza vitale del dialogo con le altre Chiese cristiane». Ne ha riassunto il risultato principale e ha sviluppato la metafora del «cammino comune» ( syn- odos ): «Malgrado le imperfezioni del cammino, questo Santo e grande conci- lio ci offre l’opportunità di rivitalizzare il processo conciliare, di modo che i concili ecclesiali ridiventino il cammino canonico e naturale per raggiungere e affermare l’unità ortodossa per tutte le nostre Chiese sorelle ortodosse». Alla fine di quella stessa sessione, Bartolo- meo ha pronunciato un discorso im- provvisato sottolineando il contributo della Chiesa ortodossa, e in particolare di quella di Costantinopoli, al movi- mento ecumenico. Ha poi colto l’o c- casione per evocare ricordi personali, come studente all’Istituto ecumenico di Bossey e come vice-presidente della commissione Fede e Costituzione del Consiglio ecumenico delle Chiese. Il giorno dopo, 26 giugno, nella solenni- tà di Ognissanti, che la Chiesa ortodossa festeggia nella prima domenica successiva alla Pentecoste, i pri- mati hanno concele- brato la divina litur- gia nella chiesa dei santi Pietro e Paolo di Chania. Dopo il Vangelo, è stato pro- clamato il messaggio che, fondato sulla «certezza che la Chiesa non vive per se stessa», sviluppa in dodici punti i temi dibattuti; il concilio ha già preso decisio- ni su sei di essi men- tre gli altri sei li esa- minerà in seguito. Ricordando che la priorità era di procla- mare l’unità della Chiesa ortodossa, unità che si esprime nel concilio, il mes- saggio sottolinea in primo luogo che la «conciliarità [della Chiesa ortodossa] modella la sua organizzazione, il modo in cui prende decisioni e determina il suo destino». Di fatto, le Chiese orto- dosse autocefale non sono «una federa- zione di Chiese, ma la Chiesa una, san- ta, cattolica e apostolica». Applicato al- la questione della diaspora, questo principio di conciliarità sta alla base delle assemblee episcopali che il conci- lio ha confermato. È anche all’origine delle sinassi dei primati e del Santo e grande concilio stesso, il cui messaggio annuncia che d’ora in poi verrà convo- cato regolarmente, «ogni sette o dieci anni». Il messaggio prosegue sottolineando la necessità della testimonianza della fede, «liturgia dopo liturgia», in vista dell’evangelizzazione e della “rievange- lizzazione”. Evidenzia l’importanza del dialogo, «in particolare con i cristiani non ortodossi», per far risplendere me- glio l’ortodossia, ma anche di quello in- terreligioso. Esprime la sua preoccupa- zione per i cristiani e le minoranze per- seguitate del Medio oriente, come pure per i rifugiati. Denunciando il «secola- rismo moderno», sottolinea però che la «cultura occidentale reca l’impronta in- delebile del contributo del cristianesi- mo». Ricorda la concezione ortodossa del matrimonio, così come il valore dell’astinenza e dell’ascesi, «caratteristi- ca della vita cristiana in tutte le sue espressioni». Rammenta infine altre sei «importanti questioni contemporanee»: i rapporti tra fede e scienza, la crisi ecologica, il «rispetto del particolarismo», il rapporto tra Chiesa e ambito politico, i giovani, prima di concludere affermando che «il Santo e grande con- cilio ha aperto il nostro orizzonte sul mondo contemporaneo». Particolarmente importante è stata anche l’omelia pronunciata dal patriar- ca ecumenico, dedicata nuovamente al- la sinodalità. Citando più volte il teolo- go ortodosso di origine russa Alexan- der Schmemann, Bartolomeo ha ricor- dato la «natura sinodale» della Chiesa, definita come un «sinodo ecumenico, che Dio stesso ha convocato. Se non intenderemo la Chiesa come “essenzial- mente sinodale”, se non accetteremo che l’intera vita della Chiesa è una vita “in sinodo”», ha dichiarato, «allora non saremo in grado di capire corretta- mente la funzione dei concili nel senso più stretto del termine». L’arcivescovo di Costantinopoli ha poi insistito sulla necessità di far cono- scere e di applicare le decisioni conci- liari, secondo un processo da lui defini- to “concilio dopo il concilio”: «Le decisioni sinodali panortodosse devono es- sere inserite nella vita delle Chiese or- todosse locali, rese pubbliche nelle par- rocchie, nelle sante arcidiocesi, nelle metropolie e nei santi monasteri, di- scusse nelle scuole teologiche e nei se- minari, utilizzate per il catechismo e l’educazione dei giovani, per poter re- care frutto nel ministero pastorale e nelle attività della Chiesa nel mondo». L’insegnamento principale del conci- lio — ribadito instancabilmente dal patriarca ecumenico — è il seguente: «La sinodalità è un altro termine per descri- vere l’unità, la santità, la cattolicità e la natura apostolica della Chiesa». Di fat- to, «il Santo e grande concilio ha rive- lato che la Chiesa una, santa, cattolica e apostolica, unita dalla fede, dai sacra- menti e dalla testimonianza nel mondo, incarna ed esprime in modo autentico il principio ecclesiologico centrale e la verità della sinodalità, e ha anche riba- dito che la Chiesa vive come un “sino do”». Riprendendo le parole di Steven Runciman, che aveva già citato il 16 giugno, il patriarca Bartolomeo al ter- mine del concilio ha affermato che, «se il ventunesimo secolo può e deve di- ventare il “secolo dell’orto dossia”, il Santo e grande concilio della nostra santissima Chiesa, per grazia del Dio adorato, trino e Signore di tutto, ha posto la prima pietra del compimento di questa visione divina».