Luigi Sandri, Ιriforma
In discussione cinque questioni cruciali, tra cui la missione dell'ortodossia nel mondo
Dopo
più di un millennio di attesa, e con una preparazione prossima di 55
anni, domenica 19 giugno – Pentecoste, secondo il calendario giuliano –
si è aperto a Creta il “Santo e Grande Concilio” della Chiesa ortodossa,
presenti però solo dieci delle quattordici Chiese autocefale, e tra le
assenti vi è quella russa che, da sola, rappresenta quasi i due terzi
dei duecento milioni di ortodossi sparsi nel mondo.
Sotto la presidenza del patriarca ecumenico di
Costantinopoli, Bartolomeo I, “primus inter pares” tra i gerarchi
ortodossi, ad Heraklion, la “capitale” di Creta, nella cattedrale di san
Menas, domenica è stata celebrata una solennissima liturgia, durata
quattro ore, per invocare l’assistenza dello Spirito santo sui lavori
del Concilio che, con quella cerimonia, iniziava.
In concreto, i lavori dell’Assemblea – alla quale
partecipano circa trecento vescovi di dieci Chiese – sono iniziati ieri
all’Accademia ortodossa di Kolymbari, un centro situato in riva al mare
ad una trentina di chilometri da Chania, la più importante città di
Creta occidentale.
Introducendo il dibattito, Bartolomeo ha detto:
«Dobbiamo preservare l’unità, dato che la Chiesa ortodossa è una e non
costituisce una federazione di Chiese». Il patriarca ha quindi espresso
profondo “dispiacere” per l’assenza di Chiese che pure «avevano firmato
un accordo scritto assicurando la loro partecipazione al Concilio».
Gli ortodossi riconoscono “ecumenici” i primi
sette Concili, dal Nicea I del 325 al Nicea II del 787; dopo la
reciproca scomunica del 1054 con Roma non avevano più celebrato un
Concilio con la presenza di tutte le Chiese ortodosse, ma solo alcuni
Concili con la partecipazione di alcune. Ma nel 1961, con la Conferenza
di Rodi, avevano deciso di avviare la preparazione di un “Concilio
panortodosso”, cioè con la partecipazione di tutte le loro Chiese. Dopo
decenni di discussioni e di difficoltà, nel marzo del 2014, a Istanbul, i
gerarchi ortodossi avevano deciso che il Concilio si sarebbe celebrato,
a Istanbul, nel 2016.
Ma, dopo che il 24 novembre scorso i turchi
abbatterono un aereo russo (volava nello spazio aereo turco, secondo
Ankara; una tesi sempre smentita da Mosca) il capo del Cremlino,
Vladimir Putin, ha di fatto impedito ai russi di recarsi in Turchia.
Perciò la sede del Concilio è stata spostata a Creta, territorio greco
ma ecclesiasticamente dipendente da Costantinopoli.
Da gennaio la preparazione immediata del Concilio
proseguiva normalmente, ma agli inizi di giugno, i patriarcati di
Georgia, Bulgaria e Antiochia (Damasco) hanno detto che, per vari
motivi, non avrebbero partecipato. In particolare il patriarcato di
Antiochia è in stato di scisma con quello di Gerusalemme per una disputa
sulla giurisdizione degli ortodossi che vivono nel Qatar. Perciò, per
non incontrare il patriarca della Città santa, il suo titolare, Johannes
X, non verrà a Creta.
In tale contesto, il patriarcato di Mosca lunedì
13 ha annunciato che non avrebbe partecipato al Concilio. Una decisione
che – dato il peso di Mosca – rischiava di annullare tutto. Ma, insieme a
Bartolomeo, i capi di altre nove Chiese ortodosse hanno ribadito la
loro volontà di celebrare, tuttavia, l’atteso “Santo e Grande Concilio”,
rivendicando comunque la sua legittimità.
L’Assemblea concluderà i suoi lavori domenica
prossima. Essa deve discutere di cinque temi (tra essi, la missione
dell’Ortodossia nel mondo) e, inoltre, approvare un messaggio finale
che, forse, affronterà il “che fare” rispetto alla Chiese che a Creta
non sono venute.