Τετάρτη 15 Ιουνίου 2016

UNITA DA RICERCARE IL DIFFICILE CAMMINO COMUNE DELLE CHIESE ORTODOSSE


Ecumenical Patriarchate Press Office
Andrea Riccardi
Il sinodo di Mosca ha chiesto, viste le difficoltà di alcune Chiese, di rinviare il Concilio panortodosso previsto per il 16 giugno. Se ci sarà, i russi non parteciperanno. Non è un fatto solo ecclesiastico, ma un passaggio della faticosa ristrutturazione dei mondi religiosi nella globalizzazione.
Le religioni, contraddittoriamente, si rilanciano o divengono fondamentaliste o si chiudono.
Il processo conciliare ortodosso però viene da lontano. Lo avviò il patriarca di Costantinopoli, Atenagora: «La Chiesa non può irradiare veramente la vita se non unificandosi», diceva. Così aprì il dialogo con i cattolici e riavvicinò gli ortodossi con la conferenza di Rodi (1961). Finalmente, cinquantacinque anni dopo, si sta arrivando al Concilio a Creta. Il patriarca di Costantinopoli, Bartolomeo, primus inter pares tra i primati ortodossi, si è speso molto per l’impresa. I suoi poteri, limitati per la conformazione dell’ortodossia e il ristretto numero dei suoi fedeli in Turchia, sono accresciuti dalla sua autorevolezza di leader spirituale mondiale. Per lui, l’ortodossia deve uscire dal nazionalismo (il «filetismo» — dicono a Costantinopoli) e dal tradizionalismo («i superortodossi»), per collocarsi nel mondo moderno e globale.
Il Concilio di Creta vuol essere un segno di unità nel «nuovo mondo». Mentre si sta per realizzare, il fronte del rifiuto si è cristallizzato anche per paura di novità. Sono emerse le logiche «nazionali» di molte Chiese, affermatesi dall’Ottocento, quando conquistarono, con l’indipendenza nazionale, l’autocefalia, più che l’autonomia da Costantinopoli. Ne è nata una frammentazione. Non c’è un imperatore, che guidi i vescovi in una via comune come ai Concili del primo millennio. I nuovi leader politici hanno rapporti complessi con le Chiese. Non uno può unirle tutte. Tra gli emigrati si sono moltiplicate le diocesi legate alla madrepatria: negli Stati Uniti, nonostante gli ortodossi siano solo lo 0,3% degli americani, c’è una dozzina di Chiese autonome.
La Chiesa bulgara non parteciperà al Concilio. Nemmeno quella georgiana, nota per posizioni tradizionali e isolamento. Gli ortodossi arabi di Antiochia (Siria e Libano) si astengono per la rottura con Gerusalemme (che ha aperto una parrocchia nel territorio antiocheno). L’organo di governo del Monte Athos, Kinot, critica i testi conciliari. Da parte sua, la Chiesa russa (che conta più della metà degli ortodossi) ha ottenuto quanto chiesto a Bartolomeo: sullo spostamento dell’evento da Istanbul a Creta per le tensioni russo-turche, sulla disposizione della presidenza a Creta e altro. Si respirava aria distesa tra Kirill e Bartolomeo, nonostante gli storici problemi tra i due patriarcati. Indubbiamente il fatto che, al Concilio, partecipino solo 24 vescovi per ogni Chiesa, riduce la presa del vasto episcopato di Russia, che però insiste sulla necessaria unanimità delle Chiese nella partecipazione e nel voto. Un Concilio, così strutturato, non assorbe facilmente tensioni e diversità che percorrono le Chiese.
Molti oggi sospettano che dietro la non partecipazione bulgara ci sia Mosca. Ma Kirill avrebbe potuto porre prima ostacoli al Concilio. La Chiesa russa ha varie difficoltà interne, specie dopo l’incontro Kirill-Francesco a Cuba, criticato da monaci e vescovi. Quella all’estero (da poco unitasi a Mosca dopo la separazione negli anni sovietici) ha criticato il Concilio. Il tradizionalismo ha costretto il patriarca ad attendere molto per incontrare il papa. Kirill, nonostante il suo prestigio, si misura oggi con problemi interni. Così il patriarcato russo non ha speso il suo peso per realizzare in ogni modo il Concilio.
Il disegno di Bartolomeo, preoccupato di un’ortodossia chiusa in orizzonti nazionali e tradizionali, non comunicativa, sembra in difficoltà. In realtà, la sua visione è l’unica che porti i 200 milioni di ortodossi a misurarsi con la storia e non a prescinderne, come se niente sia cambiato. Costantinopoli ha dichiarato che il rinvio del Concilio «arreca un danno irreparabile» all’unità e alla credibilità ortodossa. Bartolomeo è arrivato ieri a Creta per tenere ugualmente il Concilio con le Chiese che verranno. Del resto è evidente la non adeguatezza di orizzonti solo nazionali alle sfide globali. Solo per Mosca ha un orizzonte più largo: il «mondo russo». Che può una Chiesa nazionale a confronto con i flussi antropologici, culturali e migratori della globalizzazione? Il rischio per gli ortodossi è restare residuali: la demografia ridimensiona drasticamente i popoli ortodossi. In greco Concilio si traduce con «sinodo»: vuol dire «cammino insieme». Si capisce la difficoltà di camminare insieme tra soggetti abituati all’isolamento. Eppure la storia sembra imporlo.