di:
Lorenzo Prezzi
Sembra più un collasso che
non l’esito ordinato di un percorso. La decisione dell’arcidiocesi
(eparchia) di tradizione russa in Europa occidentale di collocarsi sotto
l’obbedienza canonica del patriarcato di Mosca era prevedibile (L.
Prezzi, Ortodossia: Parigi passa a Mosca), ma la modalità con cui è avvenuta ha il sapore di un finale precipitoso proprio dei racconti polizieschi.
Il vescovo Giovanni (Charioupolis) davanti all’impasse
di una votazione che, pur essendo maggioritaria, non aveva i due terzi
dei consensi richiesti per la validità e nell’impossibilità pratica di
convocare una nuova assemblea generale ha rotto gli indugi e ha scritto
una lettera al sinodo di Mosca (14 settembre 2019): «Pur in assenza di
un comitato episcopale, ma dopo la consultazione dei decani e di
numerosi preti, in quanto presidente ex officio della nostra
arcidiocesi ho deciso oggi di collocare me e l’archidiocesi sotto
l’obbedienza canonica proposta dal patriarcato di Mosca per rispondere
ai bisogni delle nostre comunità».
Eparchia di tradizione russa in Occidente
La vicenda è cominciata il 27 novembre
2018 quando il sinodo costantinopolitano decide la soppressione
dell’eparchia e la collocazione delle comunità sotto la diretta
obbedienza dei vescovi del patriarcato bizantino. Una prima riunione
pastorale indetta a breve decide il rifiuto dell’imposizione (15
dicembre 2018). Un’assemblea generale conferma la volontà di far
proseguire la vita dell’arcidiocesi (23 febbraio 2019). Infine, dopo un
vorticoso giro di consultazioni e di scontri interni, l’assemblea
generale del 7 settembre 2019 vota a maggioranza l’istanza di riunirsi a
Mosca con 104 voti contro 74, senza tuttavia raggiungere la maggioranza
dei due terzi richiesta dagli statuti. A questo punto, il vescovo ha
compiuto di imperio il passo decisivo.
L’eparchia, nata dai fuoriusciti russi
dopo la rivoluzione del 1915, retta dalle indicazioni del concilio di
Mosca del 1917-1918 e riconosciuta secondo il diritto delle associazioni
cultuali in Francia, si presenta oggi con questi numeri: 65 parrocchie,
11 chiese, 2 monasteri e 7 eremi, distribuiti in 9 paesi dell’Europa
occidentale (Francia, Belgio, Olanda, Gran Bretagna, Germania, Norvegia,
Svezia, Danimarca, Italia, Spagna), con un centinaio di sacerdoti e 30
diaconi.
Dopo alcuni anni in cui essa è rimasta
legata a Mosca (1924-1930), a causa delle censure ormai imputabili più
al regime comunista che non alla volontà dei pastori, passa
all’obbedienza di Costantinopoli. Essa dura, con un breve periodo di
incertezza negli anni ’60 del ’900, fino al 2018. Nel 1999 l’arcidiocesi
riceve il pieno riconoscimento dal Fanar.
Ci siamo perduti
La lettera del vescovo Giovanni
ricostruisce i recenti passaggi e la ricerca affannosa di una soluzione
che salvaguardi l’identità e l’unità dell’arcidiocesi. «Abbiamo lavorato
senza interruzione, ma, all’indomani dell’assemblea generale del 7
settembre che ci ha lasciato in uno stato di prostrazione nei confronti
della violenza e della forza distruttrice di alcuni fra noi, è
necessario riconoscere in tutta umiltà che ci siamo perduti. Ho ripreso
in mano gli statuti. Essi disciplinano la vita della nostra arcidiocesi e
ci proteggono. Ma è necessario dire che non sono il fondamento». «Essi
organizzano e rendono materialmente possibile la nostra pastorale… ma
essi non presiedono alla pastorale e ricordano, fra l’altro, che il
legame sacramentale fra arcidiocesi e il suo pastore è intrinseco». Per
questo «non possiamo attenderci (dagli statuti) una risposta giuridica a
una questione pastorale». «Se soltanto l’assemblea generale può
cambiare gli statuti, essa non può regolare la questione pastorale del
legame canonico». Il rifiuto di un riconoscimento da parte della Chiesa
Oltrefrontiera (di tradizione russa operante prevalentemente nel
Nord-America), del patriarcato di Romania e di Costantinopoli,
inutilmente sollecitato a rivedere le proprie decisioni, non rimaneva
che la disponibilità russa. Pur con tutte le incertezze del caso essa
permette di preservare l’identità propria dell’arcidiocesi.
Il compiacimento di Cirillo
Le forti resistenze interne a questo
esito sono legate a una profonda diffidenza verso Mosca che, anche dopo
la caduta del comunismo, ha devastato la diocesi “sorella” in Gran
Bretagna, ha avviato iniziative concorrenziali in Francia, ha sostenuto
furiosi litigi giudiziari per la proprietà di alcune chiese e edifici
dell’eparchia.
Vengono sollevate critiche alla
vicinanza del patriarcato con le politiche di Putin e alla decisione
considerata eccessiva di rompere la comunione con Costantinopoli dopo
l’autocefalia concessa all’Ucraina. La lunga tradizione anti-moscovita
dell’arcidiocesi si è alimentata per molti decenni. È prevedibile che la
resistenza si esprima in futuro in numerosi conflitti.
Il sinodo di Mosca ha immediatamente
dato il proprio assenso alla richiesta del vescovo Giovanni, informando
della volontà di «riunire prossimamente un’assemblea dei rappresentanti
di tutte le parrocchie che potranno indirizzare al patriarca e al sinodo
le loro attese sul tema dell’organizzazione canonica delle parrocchie
stesse». «Riconosce (nella domanda) il compimento degno e giusto dei
dissensi ecclesiali avvenuti all’estero in conseguenza della rivoluzione
e della guerra civile». «Accetta sua eminenza l’arcivescovo Giovanni
nella giurisdizione del patriarcato di Mosca», conferendogli il potere
sulle parrocchie dell’eparchia; decide di riprendere il tema
dell’organizzazione canonica delle parrocchie «basandosi sulle
specificità storiche del funzionamento diocesano e parrocchiale come
sulle particolarità pastorali e liturgiche stabilite dal metropolita
Eulogio (il primo vescovo dell’eparchia) che teneva conto delle
specificità di queste parrocchie in Europa occidentale».
Cirillo ha commentato l’evento come
«rimarchevole». Il desiderio del vescovo Giovanni «mette fine alla
divisione dell’ultima parte della Chiesa russa che finora era rimasta
isolata. La tragedia della rivoluzione, della guerra civile e della
divisione della nostra Chiesa e del nostro popolo è finalmente
conclusa».
Perplessi
La grande debolezza con cui l’eparchia
torna sotto la giurisdizione russa pone seri interrogativi sulla
continuità di creatività teologica che l’ha contrassegnata per decenni
grazie all’istituto San Sergio (che rimane formalmente autonomo rispetto
all’eparchia), sulla possibilità di declinare nell’appartenenza
ortodossa russa le aperture al laicato, alla gestione
sinodale/democratica e alle riforme espresse dal concilio di Mosca del
1917-1918, sulla praticabilità delle grandi aperture a tutte le anime
dell’Ortodossia senza il filtro dell’appartenenza etnico-nazionale
(filetismo). Se Mosca può ragionevolmente esibire il compimento di un
processo storico secolare, le sfide che si aprono non sono meno
impegnative.